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Vaccino Covid, Galli: "Più lenti saremo più avremo rischi"

25 gennaio 2021 | 10.17
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"Ci si poteva aspettare che gli impianti delle grandi aziende farmaceutiche potessero non essere in grado di rispondere con la velocità voluta"

(Fotogramma)
(Fotogramma)

Nonostante i ritardi dovuti alle mancate consegne dei vaccini contro il Covid, "l'ottimismo della volontà ci dice che dobbiamo darci da fare, sapendo molto bene che più lenti saremo più rischi correremo". A dirlo è Massimo Galli, primario infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano e docente all'università Statale del capoluogo lombardo, intervenuto ad 'Agorà' su Rai3.

Per quanto riguarda le forniture di vaccini, ricorda, "è anche una questione di mercato. L'Unione europea ha avuto garanzie di avere una grande quantità di vaccino a determinate condizioni. Adesso c'è mezzo mondo, anche parte del mondo emergente, che probabilmente sta offrendo di più, come fanno presupporre le indiscrezioni giornalistiche".

Più in generale, aggiunge l'infettivologo, "ci si poteva aspettare che gli impianti delle grandi aziende farmaceutiche potessero non essere in grado di rispondere con la velocità voluta. Forse poteva essere pensata prima qualche soluzione per moltiplicare impianti e poter produrre vaccini anche altrove. Ma tutto è accaduto in tempo molto breve e queste cose non sono state fatte".

Lo scontro tra Regione Lombardia e Governo sull'errore nei dati per il calcolo del Rt? "Mi sono cadute le braccia - commenta Galli - Certe cose sono al limite del masochismo. E con questo credo di aver detto tutto".

"La Lombardia, con 264 morti per 100mila abitanti, è uno dei posti peggio messi d'Europa. Paga lo scotto, pesantissimo, dell'epidemia iniziale" in termini di mortalità, ovvero il numero di morti sulla popolazione generale. A marzo l'epidemia di Covid-19 "ci ha preso alle spalle" e c'erano "già probabilmente centinaia o forse migliaia di infettati nel momento in cui è scoppiata".

"All'epoca non si facevano tamponi perché non c'era la possibilità di farli - ricorda - Il risultato è stato che la letalità (morti in relazione ai malati, ndr) dell'epoca era del 13,5% che è una letalità ospedaliera. Ci sono poi 1 milione e mezzo o 2 milioni di casi che non sono stati registrati, di persone che stavano a casa e non potevano fare il tampone, che non sono stati registrati in quel periodo. Se ci fossero state anche quelle registrazioni, la nostra letalità sarebbe stata pari o appena superiore a quella degli altri Paesi. In pratica come è stata quella da settembre in poi, assolutamente in linea con gli altri Paesi, tenendo però conto di due fattori: abbiamo cominciato per primi purtroppo e con molti casi 'nascosti' all'inizio e abbiamo più anziani".

Se "togliamo i dati della Lombardia dal conteggio - precisa l'esperto - la mortalità italiana è uguale a quella di Spagna e Francia. Ancora una volta il 'peccato originale' è la grande epidemia di marzo in Lombardia", ribadisce. Per quanto riguarda l'oggi, invece, "se ci guardiamo attorno vediamo che gli altri Paesi europei stanno peggio di noi. Abbiamo già avuto un periodo simile, quando ci sembrava di avere una situazione migliore. Quindi i primi segnali di 'bel tempo', al momento, non sono decisivi. In questo momento siamo in una di quelle fasi in cui non riusciamo a capire dove possa buttare se molliamo il colpo", conclude.

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