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Gb: Archer (Lse), domani si vota anche sull'Ue, è fallimento Cameron

06 maggio 2015 | 18.29
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La Gran Bretagna va al voto con i conservatori che già guardano al referendum sull'adesione all'Ue mentre Miliband ha chiuso con i toni dell'era di Tony Blair e ha riportato l'attenzione su diseguaglianze e povertà. Ma sullo sfondo - spiega lo studioso della London School of Economics - c'è l'incubo dell'ingovernabilità per via di un sistema elettorale che i grandi partiti non voglio cambiare

David Cameron (Xinhua)
David Cameron (Xinhua)

"In questa campagna elettorale il peso delle ideologie è stato il più forte degli ultimi decenni: dopo la grande crisi economica globale questioni come la lotta alle diseguaglianze o gli aiuti statali ai meno abbienti sono tornate nel linguaggio dei principali partiti, perlomeno dei Labour che negli anni novanta sotto Tony Blair avevano fatto scelte vagamente thatcheriane e invece ora, sotto Ed Miliband, ne hanno preso le distanze". Così Robin Archer, docente di sociologia politica alla London School of Economics, sintetizza all'Adnkronos il dibattito che ha preceduto il voto di domani del Regno Unito.

Peraltro, aggiunge, la lunga campagna elettorale ha anche visto nei laburisti un profondo cambiamento di paradigma: "Laddove Blair puntava ad affermare la propria leadership anche ponendosi in contrapposizione con i propri attivisti, Miliband - osserva - preferisce affrontare Rupert Murdoch" e il potere dei suoi media.

Quanto a Cameron, spiega Archer, "era arrivato al potere come un 'nuovo conservatore', in un certo senso potremmo definirlo 'compassionevole' perfino attento all'ambiente. L'unica cosa di cui non voleva parlare era l'Europa, aveva scelto di mettere la questione sotto il cuscino e non affrontarla neppure all'interno del suo partito".

'Il mondo degli affari non vorrebbe nessun referendum sull'Europa'

"In questo senso - osserva il politologo - possiamo dire che ha fallito su tutta la linea: la 'questione europea' è diventata dominante, decisiva nel suo mandato. Addirittura il voto di domani è anche un voto sul futuro del Regno Unito in Europa, visto che, se vincerà, Cameron ha promesso di tenere un referendum sull'adesione di Londra all'Ue". Su questo punto, aggiunge, "c'è anche il paradosso dell'atteggiamento del mondo degli affari, che guarda con favore all'agenda dei tories ma ha al tempo stesso un preciso interesse: e cioè che non si tenga nessun referendum".

Sul fronte lib-dem, l'analista della Lse sottolinea come "hanno avuto molto poco in cambio del loro appoggio al governo Cameron. Puntavano a una riforma del sistema elettorale e non l'hanno ottenuta mentre invece hanno avuto una ristrutturazione del sistema sanitario nazionale". "Il loro elettorato più progressista è piuttosto deluso, molti di loro voteranno per i laburisti o per i versi, e i lib-dem dovrebbero essere i grandi perdenti di questo voto. E mi chiedo - aggiunge Archer - se i loro elettori saranno ancora interessati a una nuova coalizione con i conservatori".

Quanto alle altre forze, l'analista riconosce all'Ukip di Nigel Farage di avere "avuto un peso importante nel permettere agli euroscettici tories di costringere Cameron a promettere un referendum sull'Europa". D'altronde, ricorda, "l'Ukip è una vera minaccia elettorale per i conservatori, è da lì che arriva la gran parte dei voti di Farage". Che potrebbe persino sostenere indirettamente un Cameron 2, osserva, "visto che ha detto che se ci sarà un referendum sull'Europa vorrebbe che fosse un governo conservatore a proclamarlo".

'Non credo a cambiamenti del sistema elettorale, ma una 'grosse koalition' è impossibile'

"Non penso che l'Ukip possa entrare nel prossimo governo, ma nel dopo voto potrebbe contare non chi è effettivamente al governo ma chi lo sostiene", commenta il politologo della Lse. "Farage potrebbe appoggiare molte scelte di un governo conservatore, un po' come gli indipendentisti scozzesi dell'Snp in fondo sostengono molte misure dei laburisti". In ogni caso, aggiunge, "l'Ukip non dovrebbe avere un risultato così importante in quanto a seggi, anzi dovrebbe averne molti meno dell'Snp" per via del sistema elettorale britannico.

Un sistema peraltro sempre più sotto accusa. Ma dinanzi alle richieste (anche di importanti commentatori) di abbandonare il maggioritario puro, il politologo spiega di essere "scettico perlomento per due ragioni: la prima è che abbiamo già avuto nel 2011 un referendum sull'eventuale cambiamento del sistema elettorale (bocciato da una maggioranza di due terzi dei no, ndr.), l'altra è che i due principali partiti non hanno nessun interesse a cambiare questo modello"."Miliband - ricorda - era a favore di questo cambiamento, ma la sconfitta lo ha scottato e non ha voglia di tornare sulla questione".

Anche se l'assenza di un chiaro vincitore sembra lo scenario più probabile Archer non crede comunque ad ampie alleanze: "Dubito proprio che ci possa essere una 'grosse koalition' alla tedesca, l'approccio all'economia e il nodo del referendum dividono profondamente laburisti e conservatori". Un referendum che, se si terrà, si preannuncia comunque all'ultimo voto: "Sull'Europa i sondaggi mostrano un testa a testa, con una crescente opposizione all'Ue. Ma se entrassero in campo i fattori economici - conclude Archer - potrebbe i filo-europei potrebbero tornare leggermente in vantaggio".

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