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Usa, Spannaus: "ora per Trump la sfida è scossa ad economia reale"

30 novembre 2016 | 17.36
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Usa, Spannaus:

Donald Trump ha vinto le elezioni, ma ora ha di fronte la sfida di aggiudicarsi "la battaglia a favore di un intervento pubblico per rilanciare l'economia". Né è convinto Andrew Spannaus che, nel libro "Perché vince Trump" aveva previsto la vittoria del tycoon, grazie alla capacità di comprendere la rivolta contro le politiche iperliberiste, di guerra continua ed una globalizzazione finanziaria che ha impoverito la classe lavoratrice americana. E per questo, ha spiegato Spannaus in un'intervista all'Adnkronos, per il nuovo presidente il "banco di prova fondamentale" sarà la capacità o meno di riuscire a realizzare il suo progetto da un trilione di dollari per ricostruire le infrastrutture americane e creare migliaia di posti di lavoro.

"Serve una scossa all'economia basata non solo sui consumi e sulla finanza ma sugli investimenti - aggiunge - Gli Stati Uniti non hanno i vincoli di bilancio costituzionalizzati come nella Ue, per questo possono modificare strumenti pubblici per favorire la ripresa dell'economia reale, tuttavia l'ideologia dell'austerità è forte, esiste da decenni".

Spannaus - ospite di una tavola rotonda, promossa dall'International Relations Society e dall'Istituto Guarini per gli Affari Pubblici della John Cabot University, a Roma presso l'Aula Magna dell'università americana - non ha dubbi sul fatto che siano stati "i grandi temi economici a spingere gli elettori a non votare per una candidata considerata troppo vicina all'establishment e Wall Street" come Hillary Clinton. Ma se gli si fa notare che molte delle persone finora nominate nella prossima amministrazione Trump, che alcuni media americani chiamano già il governo dei miliardari, hanno profondi con Wall Street, basti pensare alla più recente quella di Steven Munchin, l'ex banchiere di Goldman Sachs, al Tesoro, ammette che queste nomine sono "la dimostrazione delle contraddizioni della candidatura" di Trump.

Trump, ricorda l'analista, "ha preso il controllo del partito repubblicano, un partito che non è d'accordo con le sue politiche, lui non è un conservatore liberista in economia non è un neoconservatore in politica estera". Senza contare che si trova in difficoltà, come sta emergendo per la sofferta selezione del segretario di Stato, nello "scegliere persone che sono più vicine alle sua posizione".

"La grande domanda è se da outsider con poca esperienza politica riuscirà ad imporre la sua visione nell'amministrazione o saranno i membri del gabinetto e la burocrazia permanente a dominare, forse la sua posizione di outsider e businessman lo aiutano un po'" afferma ancora Spannaus convinto che comunque Trump dovrà dare al proprio elettorato un forte segnale di discontinuità con le "politiche iperliberiste".

Diverso il discorso in politica estera dal momento che, secondo Spannaus, Trump "ha espresso politiche che sono in parte più in continuità con quelle dell'amministrazione Obama di quelle espresse dalla Clinton" per esempio per quanto riguarda la Siria.

Per l'Iran ammette però che la situazione è diversa e ci sono le influenze di "consiglieri di Trump che hanno una chiusura verso l'Islam": "tuttavia qualcuno deve spiegare a Trump che l'accordo con l'Iran non può essere stracciato da un giorno all'altro, deve capire le conseguenze".

Per quanto riguarda poi la squadra di sicurezza che dovrà portare avanti la sua politica estera non è forse un caso che Trump si stia orientando verso ex militari: "ricordiamoci che negli ultimi anni sono stati proprio i militari quelli che si sono espressi contro la politica di cambiamento di regime mentre l'intelligence e il dipartimento di stato hanno perseguito la guerra in Libia e il sostegno per i ribelli cosiddetti moderati in Siria", ha detto criticando la politica dell'interventismo.

Senza contare che in questo modo Trump cerca di creare un "ponte" con l'establishment militare che, durante la campagna elettorale, ha mostrato anche pubblicamente nervosismo e preoccupazione per l'ascesa dell'outsider: "non ci si fida di Trump né tra la popolazione in generale né nelle istituzioni gode di una grande popolarità, dovrà conquistarla", conclude.

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