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Referendum

Turchia al bivio, Erdogan a un passo dai 'superpoteri'

15 aprile 2017 | 12.04
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(Afp) - AFP
(Afp) - AFP

Un referendum cruciale per il futuro della Turchia, qualunque sarà il risultato: dopo mesi turbolenti a livello politico, domenica gli elettori turchi sono chiamati alle urne per decidere le sorti della riforma che prevede il passaggio al sistema presidenziale. Dovranno esprimersi sugli emendamenti che assegnano maggiori poteri al presidente, a Recep Tayyip Erdogan che non ha mai archiviato il sogno di diventare un 'super-presidente' e che punta a un ruolo centrale nello scenario regionale. "Uno Stato, una Nazione, una bandiera, un Paese", è lo slogan ripetuto come un mantra dalla campagna del 'sì'. Che, secondo gli ultimi sondaggi, sarebbe avanti, anche se di poco, con una percentuale compresa tra il 51 ed il 52%.

Il leader turco, impegnato a Istanbul in quattro comizi, ha lanciato un nuovo appello ai suoi sostenitori a recarsi in massa alle urne, dicendosi convinto di vincere. "Penso a cosa accadrà se, Dio volendo, le urne scoppieranno di sì. Sarà festa nella nazione domani sera", ha dichiarato Erdogan, nel primo dei comizi pubblici. Il leader turco, citato dall'agenzia Dpa, ha ribadito come i gruppi terroristici siano schierati per il 'no' alla riforma che l'opposizione teme possa portare a una svolta autoritaria. "Il 16 aprile finiremo il lavoro iniziato il 15 luglio", ha aggiunto Erdogam riferendosi alla data del fallito golpe.

Nel secondo comizio il presidente è tornato sulla questione del ripristino della pena di morte in Turchia, (abolita nel 2014) e affrontata più volte durante la campagna elettorale. "Fratelli miei, la mia decisione sulla pena di morte è ovvia. Se passerà in Parlamento e mi sarà sottoposta la approverò - ha affermato - Se questo non accadrà faremo un altro referendum e la nazione deciderà. La decisione di domani aprirà la strada a questo".

Negli ultimi mesi, il capo di Stato, in barba al suo ruolo 'super partes', ha dominato la scena politica, occupando tutti gli spazi disponibili, rilasciando interviste a raffica e partecipando a comizi in tutto il Paese, attaccando con veemenza tutti i suoi avversari, reali o presunti, fino ad arrivare agli attacchi all'Europa, a minacciare la revisione dell'accordo sui migranti e a evocare un referendum sui negoziati di adesione con l'Ue pur restando il desiderio di mantenere intatti i rapporti economici.

Sono finiti nel mirino del presidente i curdi (ago della bilancia alle elezioni del 2015), i "golpisti", i sostenitori del movimento guidato dall'imam Fethullah Gulen, che Ankara accusa di essere stato l'ispiratore del tentativo di golpe. Sono state 47mila le persone arrestate perché sospettate di far parte del movimento di Gulen e da allora sono circa 140mila in tutto le persone finite in manette, rimosse o sospese dall'incarico. Erdogan se l'è presa anche con i media: i giornalisti in carcere in Turchia sono 152 (secondo le denunce delle opposizioni) e circa 200 sono gli organi d'informazione che sono stati chiusi negli ultimi mesi.

L'esito del voto significherà per Erdogan un rafforzamento senza precedenti nella sua storia ai vertici della Turchia - in ballo c'è "il sistema Erdogan più che il sistema presidenziale", ha detto all'agenzia di stampa Dpa Gareth Jenkins del Silk Roads Study Institute- o una sonora sconfitta, un rischio concreto che lascia prevedere elezioni anticipate e non esclude un nuovo 'lavoro' per una nuova riforma. Ai rivali, che hanno messo in guardia dal rischio dell'"uomo solo al comando", Erdogan ha risposto sostenendo che Mustafa Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia moderna, avrebbe votato "sì" al referendum.

Il governo di Ankara insiste nel ripetere che il sistema presidenziale contribuirà a porre fine al terrorismo (dopo la scia di attacchi degli ultimi mesi, dopo la strage di Capodanno al Reina di Istanbul firmata dall'Is) e alla crescita del Paese (con la lira che ha perso più del suo 20% del valore nell'ultimo anno e con l'economia messa a dura prova dal tentativo di golpe come dagli attacchi terroristici, come dalla crisi del turismo).

Per gli elettori convinti del 'sì', che ripongono assoluta fiducia nel 'sultano', Erdogan e l'Akp hanno avuto il pregio di investire nelle infrastrutture, dare all'Islam un ruolo sempre più importante nella vita del Paese e sono maestri del 'welfare state' (alla turca). Ma per gli analisti, la riforma ha comunque spaccato sia l'Akp (si è notata in campagna elettorale l'assenza dell'ex presidente Abdullah Gul e proprio sul presidenzialismo si erano confrontati Erdogan e l'ex premier Ahmet Davutoglu) che il suo alleato, l'Mhp.

La campagna per il 'no' ha dovuto invece fare i conti con non poche difficoltà. Secondo gli osservatori, al principale partito di opposizione, il Chp, è stato concesso un tempo infinitamente minore rispetto a quello che in tv hanno avuto a disposizione Erdogan e i suoi ministri (la Turchia si colloca al 151esimo posto sui 180 Paesi nell'indice della libertà di stampa del 2016 di Rsf).

E poi c'è il 'caso' del partito filo-curdo Hdp: restano tuttora in prigione più di una decina di deputati della forza politica, compresi il leader e la co-presidente, Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag. Inoltre, a livello locale il partito è stato colpito da una raffica di arresti, che ha toccato anche sindaci di città del sudest a maggioranza curda e che ne ha decimato i vertici.

Dichiarazioni al vetriolo, frasi shock e tensioni a parte, il referendum è un voto su quello che gli analisti definiscono un "presidenzialismo alla turca". Ecco i punti cruciali del pacchetto di emendamenti per la trasformazione della Repubblica turca da parlamentare in presidenziale:

- abolizione dell'incarico di primo ministro, sostituito dai vice presidenti;

- il presidente diventa un 'presidente esecutivo' e il capo di Stato può mantenere il legame con il partito di provenienza;

- tra i nuovi poteri del presidente figurano la nomina dei ministri (la 'super-presidenza'), la presentazione di una proposta di bilancio, la scelta di quattro dei 13 componenti del Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori, tra i quali ci sono il ministro della Giustizia e il sottosegretario (entrambi scelti dallo stesso presidente);

- il presidente può emettere decreti con forza di legge, decretare lo stato d'emergenza (in vigore in Turchia dallo scorso luglio) e sciogliere il Parlamento;

- il numero dei parlamentari passa da 550 a 600 e l'Assemblea può avviare con la maggioranza dei voti dei deputati procedure per l'impeachment del presidente;

- le elezioni presidenziali e parlamentari si tengono contemporaneamente ogni cinque anni e il presidente non può restare in carica per più di due mandati

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