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Catalogna, parola alle urne

20 dicembre 2017 | 08.01
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Ines Arrimada, pasionaria anti-indipendenza (AFP)
Ines Arrimada, pasionaria anti-indipendenza (AFP)

In Catalogna la parola passa finalmente alle urne. Dopo mesi di passione, arresti, fughe all'estero, manifestazioni, referendum e l'intervento di Madrid per sciogliere il governo locale, i catalani votano per scegliere il nuovo esecutivo di Barcellona. In questo clima, il voto di domani si annuncia come una sorta di nuovo referendum sulla secessione. E i sondaggi mostrano ancora una volta un Paese diviso, dove potrebbe essere difficile formare un nuovo governo.

Le passioni suscitate dallo scontro fra Barcellona e Madrid sembrano favorire un'alta affluenza che potrebbe arrivare all'80% secondo i sondaggi. Ma se la polarizzazione favorisce i partiti con la posizione più netta, c'è anche un 25% di indecisi che potrebbe portare a sorprese nelle urne. Al momento tutti i sondaggi indicano il campo secessionista e quello unionista/costituzionalista più o meno alla pari, intorno al 44-45%, senza che nessuno raggiunga la maggioranza assoluta.

INDIPENDENTISTI - Fra gli indipendentisti primeggia Esquerra Repubblicana (Erc) di Oriol Junqueras, ex vice presidente della Generalitat. In carcere con l'accusa di sedizione, Junqueras appare come un martire della secessione, mentre la fuga in Belgio ha in parte appannato la figura di Carles Puigdemont, l'ex presidente della Generalitat, capolista del partito secessionista di centro Junts pel Sì.

All'opposto, in campo unionista il primo partito è Ciudadanos, trascinato dalla sua leader Ines Arrimada, pasionaria anti-indipendenza. Ma cresce anche il partito socialista catalano, il cui popolare leader Miquel Iceta è considerato una personalità dialogante.

PARTITO POPOLARE CATALANO - Il partito Popolare catalano rischia invece uno dei peggiori risultati della sua storia. Potrebbe perdere consensi anche l'alleanza fra Podem (versione catalana di Podemos) e En Comù, la formazione della sindaca di Barcellona Ada Colau, che ha scelto una linea equidistante. Tuttavia, seppur ridimensionato, Podem-en Comù potrebbe diventare l'ago della bilancia di un futuro governo.

Il voto permetterà comunque di voltare pagina dopo mesi di forti tensioni, già evidenti questa estate quando una parte della folla fischiò re Felipe venuto alla manifestazione per le vittime dell'attentato di Barcellona. Il referendum secessionista del primo ottobre, che Madrid considerava illegale, è stato segnato dall'intervento in forze della polizia spagnola contro i seggi, che ha acceso gli animi. Ma il risveglio del giorno dopo è stato amaro: le due principali banche catalane, Banco Sabadell e Caixabank, hanno spostato la loro sede sociale in altre località spagnole, spaventate dai clienti che ritiravano i loro depositi. E in pochi giorni migliaia di imprese catalane hanno seguito il loro esempio. Allo stesso tempo, l'intera Unione Europea si è schierata con Madrid, facendo svanire l'illusione nazionalista di un possibile intervento di Bruxelles.

REFERENDUM - Al referendum oltre il 90% dei votanti ha approvato la secessione, ma solo il 43% dell'elettorato si è recato a votare. Sulla base di questo risultato, il governo nazionalista si è sentito legittimato a procedere sulla via dell'indipendenza. Ma Puigdemont ha preso tempo: il 10 ottobre ha proclamato in parlamento la secessione, ma poi l'ha subito sospesa in attesa di un dialogo con Madrid che non è mai arrivato. Anzi, il primo ministro Mariano Rajoy gli ha chiesto formalmente spiegazioni, minacciando di commissariare il suo governo in caso di secessione.

Infine il 27 ottobre, in un parlamento disertato dagli unionisti, è stata proclamata l'indipendenza. Rajoy ha risposto subito con l'attivazione dell'articolo 155 della Costituzione: sciolti il governo e il parlamento catalano, nuove elezioni sono state fissate per il 21 dicembre.

ARTICOLO 155 - In virtù dell'articolo 155, Madrid ha assunto la gestione dell'amministrazione catalana. Il commissariamento è avvenuto in forma tutto sommato morbida, senza che finora si siano verificati particolari incidenti o tensioni. Più duro è stato invece l'atteggiamento della magistratura spagnola, con accuse di sedizione contro l'intero governo, i vertici del parlamento e i "due Jordi", i leader delle principali organizzazioni secessioniste della società civile. Puigdemont e altri quattro ex consiglieri si sono intanto rifugiati a Bruxelles, contando sul sostegno dei nazionalisti fiamminghi.

Al momento, dopo che diversi leader catalani hanno ottenuto gli arresti domiciliari, rimangono in carcere Junqueras, l'ex responsabile dell'Interno Joaquim Forn e i due Jordi (Jordi Cuixart e Jordi Sanchez). Una delle incognite del dopo voto sarà anche il ruolo dei detenuti che potrebbero risultare eletti, così come dell'eventuale rientro di Puigdemont, capolistadi Junt pel Sì, che rischia l'arresto al suo ritorno in Spagna.

Se gli arresti hanno contribuito a rafforzare la fede degli indipendentisti, le tensioni del dopo referendum e le loro conseguenze sull'economia catalana hanno riconfermato i timori degli unionisti. Il campo secessionista è sempre stato più attivo e militante, nelle piazze come sui social. Ma gli unionisti si dicono portavoce di una maggioranza silenziosa, che si è sentita prevaricata. E ora saranno le urne a chiarire cosa pensano veramente i catalani.

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