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Corte Ue riconosce matrimonio omosessuale

05 giugno 2018 | 11.33
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La nozione di 'coniuge', nelle leggi Ue sulla libertà di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari, comprende i coniugi dello stesso sesso. Anche se gli Stati dell'Ue sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale, quello che non possono fare è ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell'Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino extracomunitario, un diritto di soggiorno sul loro territorio. Lo stabilisce una sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che riguarda la vicenda di una coppia omosessuale, composta da un cittadino rumeno, Relu Adrian Coman, e da un cittadino statunitense, Robert Clabourn Hamilton, che hanno convissuto negli Usa per quattro anni, prima di sposarsi a Bruxelles nel 2010.

Nel dicembre 2012, Coman e Hamilton hanno chiesto alle autorità rumene informazioni perché Hamilton potesse ottenere, in qualità di familiare di Coman, il diritto di soggiornare legalmente in Romania per un periodo superiore a tre mesi. La domanda era fondata sulla direttiva sulla libertà di circolazione, che permette al coniuge di un cittadino dell'Unione di raggiungere quest’ultimo nello Stato membro in cui soggiorna.

In risposta alla richiesta, le autorità rumene hanno informato Coman e Hamilton che quest’ultimo godeva soltanto di un diritto di soggiorno di tre mesi, poiché non poteva essere qualificato in Romania come "coniuge" di un cittadino dell’Unione, dato che Bucarest non riconosce i matrimoni omosessuali. Coman e Hamilton hanno quindi fatto ricorso ai giudici rumeni, sostenendo l'esistenza di una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, per quanto riguarda l’esercizio del diritto di libera circolazione nell'Ue.

La Corte costituzionale rumena si è rivolta alla Corte di giustizia per capire se Hamilton rientri nella nozione di "coniuge" di un cittadino Ue che ha esercitato la sua libertà di circolazione e debba quindi ottenere di conseguenza un diritto di soggiorno permanente in Romania. La Corte constata che, nell’ambito della direttiva sull’esercizio della libertà di circolazione, la nozione di "coniuge" è neutra dal punto di vista del genere e può comprendere, quindi, il coniuge dello stesso sesso di un cittadino Ue.

La Corte precisa, peraltro, che lo stato civile delle persone è una materia che rientra nella competenza degli Stati membri e che il diritto dell'Unione non pregiudica tale competenza, che resta intatta. Gli Stati restano quindi liberi di prevedere o meno il matrimonio omosessuale. Per la Corte, tuttavia, il rifiuto, da parte di uno Stato Ue, di riconoscere, ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non Ue, il matrimonio di quest’ultimo con un cittadino dell’Unione dello stesso sesso, legalmente contratto in un altro Stato Ue, ostacola l’esercizio del diritto del cittadino di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

Se così non fosse, osservano i giudici, la libertà di circolazione varierebbe da uno Stato membro all’altro in funzione delle disposizioni di diritto nazionale che disciplinano il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ciò premesso, la Corte ricorda che la libera circolazione delle persone può essere oggetto di restrizioni indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate, qualora però tali restrizioni siano basate su considerazioni oggettive di interesse generale e siano proporzionate allo scopo legittimamente perseguito dal diritto nazionale.

L’ordine pubblico, che nel caso in questione viene invocato come giustificazione per limitare il diritto di libera circolazione, dev’essere inteso in senso restrittivo, vale a dire che la sua portata non può essere determinata unilateralmente da uno Stato membro, senza il controllo delle istituzioni dell’Unione. L’obbligo per uno Stato Ue di riconoscere, esclusivamente ai fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non Ue, un matrimonio omosessuale contratto in un altro Stato membro non pregiudica l’istituto del matrimonio nel Paese in cui la coppia viene a vivere.

In particolare, l'obbligo non impone a questo Stato Ue di prevedere, nella sua normativa nazionale, l'istituto del matrimonio omosessuale. Inoltre, un simile obbligo di riconoscimento, ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non Ue, non attenta all’identità nazionale né minaccia l’ordine pubblico dello Stato membro interessato.

La Corte ricorda infine che una misura nazionale che mira ad ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone può essere giustificata solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Ue. E, dal momento che il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare è garantito all’articolo 7 della Carta, la Corte rileva che anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che la relazione che lega una coppia omosessuale può rientrare nella nozione di "vita privata", nonché in quella di "vita familiare", esattamente come succederebbe ad una coppia eterosessuale che si trovi nella stessa situazione.

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