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Contractor e carri armati vintage, tensione a confine Russia-Ucraina

03 dicembre 2018 | 16.39
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(Afp)
(Afp)

Non solo i sistemi avanzati S-400 in Crimea. Centinaia di carri armati T-62 obsoleti (prodotti negli anni Sessanta e Settanta) sono stati spostati in Russia alla frontiera con l'Ucraina, fra qualche decina e un centinaio di chilometri dal confine, intorno a Rostov sul Don, dove fra l'altro si trova una base di addestramento del personale della Wagner. A carri 'vintage' e contractor sarebbe affidata una eventuale occupazione del territorio ucraino nel caso di una invasione "vecchio stampo" da parte della Russia, una operazione militare resa possibile da una ridefinizione delle forze "avviata da Mosca nel 2015 e completata lo scorso anno" che porterebbe forze corazzate a superare il lungo, poroso (e per tratti anche indefinito) confine "nel giro di poche ore", come spiega un analista occidentale all'Adnkronos.

Il ridislocamento dei T-62 da zone sperdute della Siberia all'Ovest della Russia è avvenuto lo scorso settembre, in coincidenza con le grandi manovre a est (Vostok 2018) a cui aveva preso parte per la prima volta anche la Cina. In Occidente si era pensato in un primo momento che i mezzi pesanti fossero destinati alla Siria, per cui invece non sono mai partiti.
I T-62, forniti in passato da Mosca a Damasco, sono stati impiegati in Siria durante per combattere nelle città, e a questo potrebbero servire nell'eventualità di una occupazione dell'Ucraina: considerato il suo territorio piatto, il confine presidiato solo dalla guardia di confine, le uniche sacche di resistenza sarebbero nei centri urbani, dove questi mezzi "rustici, di cui non può essere distrutto nulla", hanno dimostrato di funzionare ancora nel contrastare forze di fanteria a piedi.

Nel 2015, dopo il successo dell'operazione ibrida e di nuovo tipo in Crimea e nel Donbass, la Russia ha iniziato a pensare, e a riorganizzarsi, per un eventuale passo successivo a livello militare, ovvero per una invasione e quindi una occupazione dell'Ucraina, operazioni per cui "le forze convenzionali tornano a essere rilevanti". "Lo sforzo di modernizzazione e potenziamento delle forze da parte di Mosca completato nel 2017 ha infatti riguardato soprattutto le zone al confine con l'Ucraina". Anche se la capacità di reazione della Nato si è concentrata nei Baltici, la regione di San Pietroburgo non è stata potenziata da Mosca. Perfino l'enclave di Kaliningrad è relativamente spoglia, al di là di sistemi di difesa missilistica che vi sono stati spostati di recente.
Sono quindi state riformate in questi anni le divisioni, che avevano iniziato a essere sciolte dalla fine degli anni Novanta. Il distretto militare occidentale dispone ora di quattro divisioni, due nella regione di Mosca e altre due al confine con l'Ucraina (oltre a Chenihiv e Kharkiv) a cui sono stati dati in dotazione carri TB-3 (versione modernizzata dei T-72), oltre che sistemi di guerra elettronica, intelligence, polizia militare, il 'telaio' più ampio che costituisce una divisione (altre due divisioni sono state formate nel distretto meridionale, e almeno una nel distretto centrale).

Come è già avvenuto nel 2014, il segnale a cui si cerca di prestare attenzione in Occidente è l'eventuale congedo della classe reclutata nell'autunno/inverno del 2017, giovani ora addestrati che non sarebbero congedati in caso di preparativi per una operazione massiccia.
Lo scenario dell'invasione dell'Ucraina prevede il movimento di forze corazzate lungo tre direttrici, da nord (Chenihiv), dal centro (Kharkiv, proprio in questa zona arrivarono i carri armati tedeschi durante la seconda guerra mondiale, per questo gli analisti parlano di una operazione Barbarossa al contrario) e sud (Mariupol). Operazione a cui si accompagnerebbero interventi di altro tipo, fra cui azioni ibride (da qui il blocco all'ingresso in Ucraina di uomini fra i 16 e i 60 anni). (segue)

La causa reale di una possibile escalation militare, sottolinea l'analista confermando l'opinione espressa da diversi altri ricercatori in queste settimane, è la concessione dell'autorizzazione all'avvio del procedimento per l'autocefalia di una Chiesa ucraina (l'autorizzazione alla richiesta di Kiev per la creazione di una chiesa ortodossa nazionale che non fa più capo al Patriarcato di Mosca e di tutte le russie, ndr) da parte del Patriarca ecumenico Bartolomeo I, uno sviluppo, quello formalizzato l'11 ottobre, inaccettabile per la Russia. "E' paragonabile, ma forse più grave, della decisione di Kiev di firmare l'accordo di associazione all'Ue nel 2014", si sottolinea. Il presidente Vladimir Putin aveva riunito il suo Consiglio di sicurezza nazionale immediatamente dopo l'annuncio di Bartolomeo I e il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov aveva anticipato l'intenzione di Mosca "di proteggere gli interessi degli ortodossi, così come difende quelli dei russi e dei russofoni", difesa di russi e russofoni essendo la scusa invocata da Mosca per l'intervento in Ossezia del sud, in Crimea e nel Donbass.

La Chiesa ortodossa russa ha risposto alla decisione del Sinodo ecumenico annunciando la rottura della comunione con Costantinopoli. Putin aveva in seguito anticipato, nella sua prima dichiarazione a fine ottobre, "le conseguenze più gravi" di una spaccatura. "Nostro dovere comune, soprattutto nei confronti dei popoli, è quello di mantenere l'unità spirituale e storica", aveva dichiarato il presidente russo. Il recente scontro nel Mare di Azov è solo un incidente che conferma la pericolosità di una guerra che forse la Russia non ha mai davvero congelato.

Sono principalmente due gli scenari considerati come possibili obiettivi di una operazione di questo tipo: l'occupazione di una vasta porzione di territorio ucraino (che escluderebbe solo la 'piccola Ucraina' occidentale, con una linea di contatto lunghissima, di tremila chilometri di difficile controllo, e quello invece che prevede il collasso della struttura di governo ucraino, quindi di una successiva occupazione di un territorio non meno vasto, ma attraverso questa sì, una operazione ibrida.

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