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Afghanistan, Farnesina: mai informati su ritiro

29 gennaio 2019 | 14.24
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(Fotogramma)
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La Farnesina conferma di non essere mai stata messa al corrente delle intenzioni della ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, prima delle sue dichiarazioni alla stampa relative alla decisione di ritirare il contingente militare italiano dall’Afghanistan. E' quanto si legge in una nota del ministero degli Esteri.

M5S: CRITICHE A TRENTA INCOMPRENSIBILI - I senatori M5S della Commissione Difesa di Palazzo Madama, che puntano il dito contro "le scomposte reazioni delle opposizioni alla storica notizia del disimpegno italiano", spiegano che "non ci ritiriamo con disonore perché abbiamo perso una guerra, ma che si torna a casa perché finalmente - ci auguriamo - la guerra finisce grazie a un accordo di pace che garantisce gli obiettivi di sicurezza dell'Occidente". "Le critiche al ministro della Difesa Elisabetta Trenta risultano incomprensibili - dichiarano i parlamentari M5S delle Commissioni Difesa di Camera e Senato - perché sarebbe stato gravemente irresponsabile da parte sua, una volta informata della svolta politico-militare in corso, non attivare subito le procedure formali interne - per le quali, va detto, non c'è bisogno di informare la Farnesina - che sono necessarie per iniziare a preparare il piano di rientro delle nostre truppe dall'Afghanistan: quasi mille soldati, centinaia di mezzi e tonnellate di attrezzature che non si riportano a casa dalla sera alla mattina".

GENERALE DEL VECCHIO - Il rientro del contingente italiano dall'Afghanistan "è un'operazione delicata, che ha bisogno di tempo per essere organizzata, in cui bisogna garantire la sicurezza del personale e dei mezzi" afferma in un'intervista all'Adnkronos il generale Mauro Del Vecchio, comandante delle forze Nato in Afghanistan nell'ambito dell'operazione Isaf dal 2005 al 2006. "L'annuncio del presidente Trump di ritirare i soldati statunitensi non consente una via di uscita diversa alle altre nazioni dell'alleanza - chiarisce - L'impegno statunitense nella missione è molto più forte di quello delle altre nazioni coinvolte e nessuna può farsi carico da sola sia dell'impegno del personale che delle risorse finanziarie. Però, se questo era l'intendimento degli Usa, sarebbe stato opportuno concordarlo con gli altri Paesi". "Quando mi chiedevano quanto tempo saremmo rimasti - racconta Del Vecchio - dicevo che non saremmo potuti tornare prima del 2015-16 perché la situazione era difficile". Ora, spiega, "gli accordi che sembra siano stati raggiunti dal governo statunitense con i talebani sono un punto molto importante. Se verranno mantenuti consentiranno di arrivare al risultato iniziale della missione che era quello di evitare che quel Paese diventasse rifugio del terrorismo internazionale come lo stava diventando". Rimane ancora da raggiungere, chiarisce, "l'altro obiettivo iniziale, quello di aiutare un Paese in difficoltà cercando di avviarlo verso una strada di progresso e di diritti. Se da una parte gli accordi Usa con i talebani sembrano rispondere a un primo obiettivo il secondo non è stato raggiunto". Sul fatto che la ministra della Difesa Elisabetta Trenta avrebbe dato disposizioni al Coi di valutare l'avvio di una pianificazione per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan, il generale Del Vecchio rileva che "il ministro della Difesa non parla con il Coi ma con il capo di Stato Maggiore della Difesa che, a sua volta, parla con il comandante del Coi. Se si fosse effettivamente rivolto direttamente al Coi, allora sarebbe un comportamento stridente. Tra l'altro - osserva Del Vecchio - una decisione importante come quella di terminare una operazione così complessa andava rappresentata anche in Parlamento".

GENERALE TRICARICO - Per Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, oggi presidente della Fondazione Icsa (Intelligence Culture and Strategic Analysis), il ritiro delle forze militari dall'Afghanistan deve avvenire "in maniera concordata tra i Paesi coinvolti nella missione, nell’unica sede deputata, che è l’alleanza, quindi a Bruxelles, a livello politico prima e a livello militare successivamente. Così come la missione venne disegnata inizialmente, definendo obiettivi e il tipo di apporti di ognuno, altrettanto il ritiro doveva essere concordato. Se non c’è stato questo siamo di fronte a un comportamento da biasimare su tutta la linea". "Se le decisioni statunitensi sono state prese senza una concertazione con gli alleati presenti in Afghanistan segnatamente con l’Italia questo - sottolinea Tricarico all'Adnkronos - non è solo un fatto di maleducazione istituzionale ma anche uno sgarbo immeritato verso chi non si è mai sottratto agli appelli statunitensi, e quello più emblematico è proprio relativo all'Afghanistan dove siamo accorsi dopo l’attentato alle Torri Gemelle, come segno di solidarietà verso un Paese in grande difficoltà". Non solo. "La concertazione in una missione multinazionale non è un fatto formale ma attiene all’efficacia e alla sicurezza dell’intero apparato dato che, se viene a mancare l’apporto dell’operatore dominante, in questo caso gli Stati Uniti, la missione perde senso e diventa molto rischiosa anche nella fase di ritiro. Proprio per questo - aggiunge l'ufficiale - è opportuno che quando il ministro Moavero sarà ragguagliato e sarà consapevole dell’intera vicenda, faccia pervenire agli Stati Uniti i sensi del rammarico per questa ulteriore sotto considerazione del principale alleato". Quanto può essere rischioso ritirare le forze di sicurezza occidentali ai fini della pace e della sicurezza del Paese? "Bisogna vedere il presunto accordo tra gli Stati Uniti e i talebani, se c’è stato - chiarisce Tricarico - e se i talebani manterranno fede all’accordo. Se si impegnassero a tenere l'Afghanistan fuori dalla minaccia terroristica sicuramente ci si potrebbe ritenere soddisfatti anche alla luce degli interessi nazionali. Ma - ribadisce - se ci dovesse essere davvero un ritiro bisognerà necessariamente sedersi tutti insieme intorno a un tavolo e decidere tutti insieme, secondo una visione di sicurezza e di futuro".

GENERALE DI MARCO - Il ritiro delle forze militari dall'Afghanistan "è una decisione politica e va rispettata. Però, questa decisione non sembra essere stata discussa nell'ambito del Consiglio supremo di difesa, dal punto di vista nazionale e, leggendo le dichiarazioni del segretario generale della Nato, non sembra essere stata discussa nemmeno in ambito Alleanza. Quando invece, solitamente, la volontà di schierare le unità avviene nell'ambito dell'Alleanza tra tutte le nazioni" dice all'Adnkronos il generale di Corpo d’Armata Leonardo di Marco, ex comandante Logistico dell’Esercito e responsabile di vari comandi all’estero, definendo la prassi come "inusuale". C'è già in atto un ritiro, "quello definito dal precedente ministro della Difesa, ma - rimarca - un ritiro va sempre coordinato nell'ambito dell'Alleanza, una volta che si sono raggiunti gli effetti che ci si era posti all'inizio. Ad oggi non sembra che questi effetti siano stati raggiunti - afferma l'ufficiale - C'è la comunicazione da parte americana che è possibile un accordo tra i talebani e gli Stati Uniti, ma io personalmente sono scettico, considerando la storia dei talebani e considerando anche l'atteggiamento attuale degli Stati Uniti nei confronti della Siria. Quindi mi lascia perplesso ma la decisione è politica e - sottolinea - va rispettata. Anche se i canoni normali prevedono il coordinamento che non mi sembra ci sia stato".

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