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Sequestro Dall'Oglio, la famiglia: "Serve maggiore trasparenza"

29 luglio 2019 | 15.38
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A sei anni dal rapimento, la famiglia non riesce ancora a sapere cosa gli sia accaduto

(Foto Adnkronos)
(Foto Adnkronos)

La famiglia di Padre Paolo Dall'Oglio chiede "maggiore trasparenza" e "coordinamento" a sei anni dal rapimento in Siria del gesuita romano. "Speriamo in una maggiore trasparenza, che si riesca a sapere di più, che le notizie vengano condivise - dice la sorella Francesca al termine della conferenza stampa organizzata nella sede dell'Associazione della Stampa Estera a Roma - Paolo aveva denunciato questioni di guerra, armamenti, cose importanti e poteva essere dentro a un gioco più grande di lui". "Sappiamo che in quei Paesi qualcosa può durare molto tempo senza che se ne sappia nulla" e "questo mi fa pensare che il silenzio non voglia necessariamente dire che è morto", aggiunge.

"E' nato a Roma, è un cittadino italiano e sono sei anni che non riusciamo a sapere cosa gli sia accaduto", incalza Francesca Dall'Oglio. Padre Paolo è stato rapito mentre si trovava a Raqqa, in quella che l'anno successivo sarebbe diventata la 'capitale' dell'autoproclamato "califfato" di Abu Bakr al-Baghdadi. La zona di Raqqa è stata liberata alla fine del 2017. "Ora - dice Francesca - è occupata da alleati della Nato, ma a noi arrivano solo rassicurazioni verbali sul fatto che si sta lavorando per la verità". "C'è bisogno di maggiore trasparenza e forse coordinamento in modo - ribadisce durante la conferenza stampa - da allontanare da me, da noi la percezione che Paolo sia stato oggetto di interessi politici contrastanti non necessariamente solo italiani. Paolo andava contro gli operatori di armi e guerra".

"Gli interessi intorno sono tanti - le ha fatto eco la sorella Immacolata - Quello che oggi è forte è la necessità di informazione e di giustizia". Francesca Dall'Oglio è poi tornata sulla questione della "piccola valigia, della sacchetta" di Padre Paolo riconsegnata alla famiglia "solo nel 2018" e - sottolinea - solo grazie all'interessamento dei Dall'Oglio.
"Il cammino della valigia - ammette - è qualcosa che ha interrotto un po' in me il rapporto di fiducia con chi si occupava di Paolo". "In questa sacchetta c'erano vecchi telefonini con schede scadute. Non c'era nulla di che - prosegue - Un portafogli di una semplicità inaudita, uno zucchetto di quelli che era solito portare".

Ma cosa tiene viva la speranza? "La speranza è una cosa strana, è una cosa che va e viene. E' una cosa viva. E' data anche dal silenzio - continua Immacolata - La speranza è viva perché siamo malati di speranza". "Siamo qui insieme con voi per sperare ancora", afferma da parte sua il fratello Giovanni, medico Cuamm, che sei anni fa era in Uganda quando fu informato del rapimento di Padre Paolo. "Ha sempre posto gli altri davanti e - dice Giovanni - Paolo avrebbe colto questo momento per porre l'attenzione sulla Siria su qualcosa che sembra essere stato risolto con l'annientamento dell'Isis, ma sappiamo bene che non è così".

"Richiamare l'attenzione su Paolo significa richiamare l'attenzione sul fenomeno degli scomparsi che rappresenta una ferita indelebile - dice la sorella Immacolata - La Siria ha tante ferite, sono tutti feriti ma questo spettro degli scomparsi non permette alle famiglie di guardare oltre". Francesca coglie l'occasione della conferenza stampa per ringraziare i giornalisti, le associazioni, chi "ci è stato vicino in questi anni, le persone comuni che ci hanno aiutato". "Per noi - dice - è importante sentire questa solidarietà e vicinanza, è un modo per sentire che Paolo è vivo". E, a nome della famiglia, esprime "tutta la nostra vicinanza agli altri sequestrati, alla giovane Silvia Romano (rapita in Kenya il 20 novembre 2018) e a Padre Maccalli", catturato in Niger lo scorso settembre.

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