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Elezioni Usa, per Trump lunedì il momento verità

11 dicembre 2020 | 16.42
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(Afp)
(Afp)

Dopo aver negato per oltre un mese la sconfitta elettorale, con decine di ricorsi falliti in tutte le istanze, riconteggi e continue accuse a mezzo Twitter di complotti e frodi, Donald Trump è ormai ad un passo dal momento della verità. Il 14 dicembre, primo lunedì dopo il secondo mercoledì successivo alle elezioni, come prevede la Costituzione, si riunirà il Collegio Elettorale che dovrà ratificare la vittoria di Joe Biden delle presidenziali 2020.

Anche se si parla di riunione del Collegio Elettorale, in realtà si tratterà di tante riunioni diverse che si svolgeranno nelle sedi delle Assemblee Legislative di tutti gli Stati dove gli Elettori voteranno per Trump o per Biden, con il mandato di riflettere il voto popolare espresso e certificato da ogni Stato. Per quanto molto probabilmente vi saranno proteste in qualche capitale, non si prevedono clamorose sorprese, con la conferma ufficiale della vittoria di Biden con 306 voti contro i 232 del presidente.

Solitamente, la riunione del Collegio Elettorale è considerata una formalità cerimoniale, ma in questo caso, con il rifiuto di Trump di riconoscere la sconfitta, l'appuntamento ha assunto grande importanza. E sarà un momento della verità anche per la leadership repubblicana che, per giustificare il fatto di non voler chiamare presidente eletto Biden nonostante i riconoscimenti del mondo intero e l'avvio della transizione, ha ripetuto che "sarà il Collegio Elettorale a decidere il vincitore".

L'atteggiamento di Trump non sembra però destinato a cambiare dopo la riunione di martedì e anzi il presidente ha affidato l'ultima speranza di rovesciare - termine "overturn" da lui stesso evocato ieri in un tweet - risultati di elezioni certificate dalle autorità statali al ricorso presentato nei giorni scorsi dal Texas alla Corte Suprema con il clamoroso, e senza precedenti, intento di invalidare milioni elettorali nei quattro stati chiave che hanno consegnato la vittoria a Biden.

Molti sono scettici sulle possibilità di questo ricorso - che però ha ottenuto l'appoggio di 17 stati ed oltre la metà dei deputati repubblicani - anche alla luce del fatto che all'inizio della settimana la Corte Suprema non ha accolto un ricorso simile per la Pennsylvania. A parte questa ultima speranza, Trump in effetti ha fallito tutti i tentativi di dirottare il Collegio Elettorale, a partire da quello teso a convincere le maggioranze repubblicane delle Assemblee Legislative di Michigan, Pennsylvania e Georgia di disconoscere il volere espresso dal voto popolare eleggendo propri Elettori, ovviamente favorevoli a Trump.

"Abbiamo avuto dai rappresentanti dei queste Assemblee chiari segnali del fatto che questo non succederà", ha detto a Usa Today, Rebecca Green, direttrice del William and Mary School of Law. Poco probabile anche il "tradimento" da parte degli Elettori del mandato popolare, che è esplicitamente vietato da 32 Stati: a luglio la Corte Suprema ha stabilito che gli Stati hanno il diritto di insistere che i membri del Collegio Elettorale sostengano il vincitore prescelto dal voto popolare. "Alla luce di questa sentenza, si possono prevedere ben pochi trucchetti", conclude Green.

In realtà, quello del Collegio Elettorale non è il passo conclusivo del lunghissimo processo elettorale americano la cui chiusura definitiva arriverà solo il 6 gennaio, quando si svolgerà la sessione congiunta di Camera e Senato per certificare il voto del collegio, stato per stato. Anche questo passaggio, puramente formale, quest'anno potrà riservare delle sorprese se almeno un deputato ed senatore presenteranno per scritto obiezioni ai risultati. In questo caso le due Camere dovranno votare separatamente per ogni disputa.

Il deputato Mo Brooks ha detto che spera di poter "contestare i risultati di alcuni stati", guadagnandosi gli applausi di Trump. Ma finora nessuno tra i senatori repubblicani, molti dei quali in privato si dicono pronti a riconoscere Biden come presidente, si è fatto avanti.

"Anche se si dovesse arrivare al voto, si potrebbe avere un po' di teatro il sei gennaio, ma dal punto di vista pratico non avrà alcun effetto su chi si insedierà alla presidenza il 20 gennaio", commenta sempre al quotidiano americano Ned Foley, direttore del programma di studi elettorali della Ohio State University, spiegando che la maggioranza democratica della Camera bloccherebbe facilmente ogni tentativo, mentre al Senato vi sarebbero abbastanza voti repubblicani per farlo.

Un eventuale tentativo di contestazione dei risultati elettorali metterebbe comunque in una posizione scomoda il vice presidente Mike Pence, che presiederà la sessione del sei gennaio. Come aveva dovuto fare nel 2016 anno della vittoria di Trump, l'allora vice presidente Biden che, di fronte al tentativo di obiezione alla certificazione dei risultati in Georgia, azzittì, tra gli applausi dei repubblicani, la deputata democratica che non aveva ottenuto il sostegno di un senatore.

Nel 2004 invece si arrivò al voto dell'obiezione, sostenuta dalla senatrice democratica Barbara Boxer, alla vittoria, decisiva per la rielezione, di George Bush in Ohio. Camera e Senato poi bocciarono l'obiezione.

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