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Stato-mafia, tre ore di deposizione per Napolitano: "Mai saputo di un accordo"

28 ottobre 2014 | 08.06
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Giovanni Airò Farulla, legale del comune di Palermo: "Il presidente ha riferito di non aver mai saputo niente, all'epoca dei fatti, di un accordo". Il procuratore aggiunto Teresi: "Non si è mai sottratto alle domande". Udienza blindata: niente telefoni, tablet e pc. No alla presenza dei boss. L'avvocato Barcellona, che rappresenta il centro Pio La Torre: "Non si è mai usato il termine 'trattativa'"

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (foto Quirinale)
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (foto Quirinale)

Per una mattina la sala del Bronzino, al Quirinale, si è trasformata in un'aula di giustizia (fotogallery). E' durata circa tre ore e mezza, comprensive di una breve pausa, la deposizione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nell'ambito del processo sulla presunta trattativa trattativa Stato-mafia. Iniziata poco dopo le 10, l'udienza è terminata intorno alle 13.35. A metà mattinata, si è fatta una breve pausa di circa quindici minuti.

A quanto si è appreso, i magistrati della Corte d'Assise di Palermo e le parti processuali si sono alzate in piedi quando è entrato Napolitano. I magistrati di Palermo giunti al Colle sono il procuratore aggiunto Teresi, i sostituti Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene; tra gli avvocati delle sette parti civili e dei 10 imputati (non ammessi dalla Corte a partecipare direttamente o in videoconferenza alla testimonianza del Capo dello Stato) ha varcato la soglia del Quirinale anche Luca Cianferoni, legale del boss Totò Riina. Una ventina circa le domande dei magistrati di Palermo per il Capo dello Stato.

Il presidente "ci ha dato un importante contributo per la ricerca della verità. Siamo molto, molto soddisfatti", ha detto all'Adnkronos il Procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi. "Abbiamo incassato un risultato straordinario dal punto di vista processuale perché Napolitano ha detto che subito dopo le stragi di Roma, Firenze e Milano del '93 tutte le più alte istituzioni, dal presidente della Repubblica al presidente del Consiglio - ha spiegato Teresi - hanno capito che era la prosecuzione del piano stragista di Cosa nostra che tendeva a ottenere un aut aut, o si ottenevano benefici di natura penitenziaria per l'organizzazione o ci sarebbero state finalità destabilizzanti. Questo per noi è il cuore del processo. E questo è arrivato dalla viva voce del Capo dello Stato".

"Abbiamo potuto porre tutte le domande previste e il Capo dello Stato non si è mai opposto. Non si è mai sottratto ad alcuna domanda" ha aggiunto. E alla domanda se i magistrati siano pentiti di avere chiamato a deporre il Capo dello Stato, dopo le polemiche di questi giorni, Teresi ha replicato: "Al contrario, siamo convinti che la testimonianza ci abbia dato ragione sulla necessità di sentirlo. Lo abbiamo sentito su fatti importantissimi a cui solo lui poteva rispondere".

"Non si è mai usato il termine 'trattativa' e nessuno ha fatto domande specifiche sulla trattativa" ha detto inoltre l'avvocato Ettore Barcellona, che rappresenta il centro Pio La Torre, uscendo dal Quirinale.

Secondo quanto riferito dall'avvocato Giovanni Airò Farulla, legale del comune di Palermo, il presidente inoltre "ha riferito di non aver mai saputo niente, all'epoca dei fatti, di un accordo" tra apparati dello Stato e cosa nostra per fermare le stragi mafiose. Il legale ha spiegato che il termine 'trattativa' non è stato usato e che il capo dello Stato "ha risposto ma non a tutte le domande".

La lettera di D'Ambrosio - Rispondendo all'avvocato Massimo Krogh, che con Nicoletta Piergentili difende Nicola Mancino, il presidente ha affermato che il "vivo timore" di essere usato come "utile scriba per indicibili accordi" tra l'89 e il '93 dell'ex consigliere giuridico Loris D'Ambrosio "era una mera ipotesi priva di basi oggettive". La lettera fu scritta da D'Ambrosio il 18 luglio 2012 al capo dello Stato e in quell'occasione il consigliere giuridico, morto quella stessa estate, esternò a Napolitano il "vivo timore" di esser stato considerato un "utile scriba" e usato come scudo a "indicibili accordi", proprio in riferimento al periodo tra l'89 e il '93. Ecco perché i pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia hanno voluto sentire il capo dello Stato: se e cosa venne a sapere delle preoccupazioni del suo consigliere giuridico, ma soprattutto di quegli "indicibili accordi" cui D'Ambrosio fa riferimento, nella stagione tra l'attentato all'Addaura e le stragi. E chi avrebbe usato come "scudo" D'Ambrosio? Napolitano, come riferito da Krogh all'Adnkronos, ha risposto che le sue erano "mere ipotesi prive di una base oggettiva".

Di Matteo - Per il pm Nino Di Matteo, che ha posto le domande al presidente assieme al Procuratore aggiunto Teresi, "grazie alla testimonianza di Giorgio Napolitano - ha detto all'Adnkronos - abbiamo acquisito ulteriori e importanti elementi di conoscenza anche a conforto della nostra tesi processuale".

Quirinale - In una nota diffusa dalla Presidenza della Repubblica, al termine della deposizione, si legge che Napolitano, "che aveva dato la sua disponibilità a testimoniare, ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali né obiezioni riguardo alla stretta pertinenza ai capitoli di prova ammessi dalla Corte stessa".

Avvocato di Riina - Napolitano durante l'udienza è stato un po' 'difeso' dalla Corte. Il dibattimento è stato gestito in maniera molto cauta. L'udienza a mio avviso è stata interessante al 51 per cento", così Cianferoni. Napolitano, ha riferito ancora il legale dell'ex capo dei capi, "ha difeso la memoria di Loris D'Ambrosio". "La mia idea? Se resta viva un po' di gente -rimarca il legale del superboss di Cosa nostra- questa vicenda del '93 alla fine darà molte sorprese...".

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