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Italicum: Renzi chiude a minoranza. Opposizioni si appellano al Colle, Mattarella: "Lavoro non resti a metà"

15 aprile 2015 | 17.02
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Renzi non cede, l'Italicum non si cambia: "Gruppo confermi voto Direzione". La minoranza non parteciperà. Le opposizioni a Mattarella: scongiurare la fiducia. Il Colle: "lavoro non resti a metà. Ieri l'appello del M5S a Area Riformista: "Insieme possiamo ribaltare riforma"

Italicum: Renzi chiude a minoranza. Opposizioni si appellano al Colle, Mattarella:

Matteo Renzi chiude ad ogni modifica all'Italicum, ma non esclude modifiche alle riforme istituzionali. Intervenuto all'assemblea del gruppo, il premier chiede ai deputati Pd di confermare il voto della Direzione. Troppi sciacalli in azione sulla legge elettorale, attacca il premier, citando uno dei personaggi de 'Il libro della giungla': "Fuori ci sono tanti Tabaqui. La nostra discussione deve essere liberata dai toni all'Armageddon". La legge elettorale, insiste, "va votata", anche perché è "una legge alla quale il governo è legato, nel bene e nel male". La minoranza, circa una settantina di deputati, non partecipa al voto. Roberto Speranza ha anunciato le dimissioni da capogruppo. Il premier, però, è possibilista sulle riforme istituzionali: si può arrivare a "ulteriori modifiche".

Area riformista aveva voluto sottolineare come la posizione della minoranza trovasse sulla stessa linea l'ex segretario e candidato premier e due candidati alle ultime primarie che hanno raggiunto quasi il 35%: "non si può non tenerne conto". Per Pier Luigi Bersani la posta in gioco è l'intero sistema democratico, non sarebbe né presidenzialismo né parlamentarismo, e per ribadire determinazione ad andare avanti in questa battaglia: "Non può esistere sempre un piano B", avrebbe spiegato l'ex segretario a chi gli ha parlato.

Il capo dello Stato, al quale si sono rivolte le opposizioni paventando il ricorso del governo al voto di fiducia, attende di vedere quali saranno i risultati del lavoro del Parlamento, ricordando quanto siano importanti per il Paese le riforme istituzionali, ma anche la necessità che vengano prese comunque delle decisioni senza lasciare il lavoro a metà. Il Colle segue con attenzione l'evolversi della situazione, nel rispetto di ruolo e prerogative costituzionali e preoccupato quindi di evitare ogni invasione di campo.

La materia in questo momento riguarda il calendario della Camera e quanto alla possibilità che il governo ponga la fiducia per ora si resta solo nel campo delle generiche ipotesi, visto che decisioni in tal senso non sono state nè prese nè annunciate. Si tratta di questione che riguarda le dinamiche governo-Parlamento e quindi sta all'esecutivo e alla maggioranza valutare l'opportunità di ricorrere a questa procedura su una materia di questo tipo. Certo, il capo dello Stato sostiene il processo delle riforme in generale e della legge elettorale in particolare, come ha segnalato sin dal momento del suo insediamento.

Anche in questo caso però la responsabilità è tutta del Parlamento, nel merito e nel metodo. Le Camere discutano e scelgano liberamente, ma alla fine si assumano l'onere di prendere una decisione in un senso o nell'altro: si vada avanti o si bocci l''Italicum', con la conseguenza di bloccare l'iter legislativo e di non fare nulla, di sicuro non ci si può fermare in mezzo al guado, lasciando il lavoro a metà.

L'assemblea dei deputati Pd, in ogni caso, sarà solo un passaggio del percorso che attende l'Italicum, le cui sorti sono indissolubilmente legate alla riforma costituzionale in Senato. Né è scontato che in commissione Affari costituzionali di Montecitorio si arrivi effettivamente a votare gli emendamenti. I tempi sono abbastanza stretti, considerando che oggi la commissione è ancora impegnata con le audizioni, che per domani non sono previsti lavori e che si profila la possibilità di spostare termine per la presentazione degli emendamenti da venerdì prossimo a lunedì 20. A quel punto, rimarrebbero pochi giorni per il confronto fino al 27, quando l'Italicum approderà in aula. Giorni che potrebbero tutti essere occupati dalla discussione, impedendo di fatto lo scontro, inevitabile, sugli emendamenti.

In questo lasso di tempo nel Pd, auspica la minoranza dem, si potrebbe cercare un compromesso per cercare di ricomporre la frattura. Anche perchè, se la situazione dovesse deteriorarsi, ne risentirebbe di certo il cammino della riforma costituzionale in Senato. Ecco perchè, dal momento che la minoranza, pur critica verso Renzi e la maggioranza, non vuole spingersi fino a mettere a rischio il governo, si potrebbe profilare un'intesa su alcune modifiche alla riforma del Senato.Oppure, proprio sulla legge elettorale attraverso, come si vocifera a Montecitorio, un'iniziativa di legge in Senato per modificare l'Italicum approvato alla Camera. Il ddl di modifica sarebbe la chiave dell'accordo e farebbe ripartire l'iter della riforma costituzionale a Palazzo Madama, evitando una clamorosa rottura.Le modifiche, come chiedono la minoranza del Pd ed altre forze di opposizione, dovrebbero intervenire soprattutto su quelli che vengono considerati i nodi più difficili da sciogliere: i capilista bloccati e il premio di maggioranza. Per quest'ultimo, la soluzione potrebbe essere quella di individuare un quorum del 50 per cento, al secondo turno, per far scattare il premio. Bisognerebbe, insomma, riportare alle urne la metà di quanti hanno votato al primo turno, per evitare, come dice Area riformista, che "un'esigua minoranza sociale ottenga un vantaggio in termini di seggi parlamentari, sproporzionato al consenso degli elettori".

L''affaire' Italicum, come era ampiamente prevedibile, si allarga, supera i confini del contrasto interno al partito del premier per interessare anche le altre forze politiche, in vista del passaggio in aula alla Camera fissato per il 27 aprile. Sel e Forza Italia hanno scritto a Mattarella per sottolineare come sia indispensabile scongiurare il voto di fiducia sulla legge elettorale"La nostra iniziativa, e quella di altre forze di opposizione -spiega il capogruppo a Montecitorio Arturo Scotto- non è un modo di tirare per la giacchetta il capo dello Stato, ma un appello perché si garantisca un libero dibattito parlamentare senza forzature e scorciatoie dal sapore autoritario". Per il capogruppo di Fi Renato Brunetta, la fiducia sulla legge elettorale rappresenterebbe un “gravissimo strappo costituzionale”.Chi non si è rivolto al capo dello Stato è il Movimento 5 Stelle: Mattarella, spiega la capogruppo a Montecitorio Fabiana Dadone, "è uscito dalla Corte costituzionale l'altro ieri, conosce benissimo i meccanismi e sa come vanno i lavori parlamentari. Ha un quadro chiarissimo e sa perfettamente che la fiducia sarebbe una forzatura. "E' una legge sbagliata che ancora una volta fa vincere chi non lo merita", gli fa eco il vice presidente della Camera Luigi Di Maio.

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