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Stop a riforma intercettazioni

11 luglio 2018 | 10.44
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(Fotogramma)
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"Le modifiche introdotte" dalla riforma delle intercettazioni del precedente governo, "appaiono come un dannoso passo indietro sulla strada della qualità ed efficacia delle indagini e rispetto alla corretta distribuzione dei compiti funzionali tra i diversi soggetti coinvolti". Così, illustrando le linee programmatiche in Commissione Giustizia del Senato, il Guardasigilli Alfonso Bonafede ha ribadito la sua intenzione di fermare l'entrata in vigore del decreto, prevista nei prossimi giorni. "Il decreto legislativo varato dal precedente esecutivo, la cui piena efficacia è prevista proprio durante questo mese, non riesce nell’obiettivo di assicurare un effettivo contemperamento dei diversi interessi richiamati", ha spiegato Bonafede.

PRESCRIZIONE - Il ministro della Giustizia ha quindi annunciato che "tra le varie opzioni d’intervento allo studio figura quella della sospensione della decorrenza del termine di prescrizione dopo che sia stata emessa una sentenza di primo grado". "Si tratta del punto di partenza di uno studio che dovrà tenere conto di tutti gli effetti, positivi e negativi, di una soluzione di questo tipo - ha detto Bonafede - per giungere a un risultato efficace nel rispetto delle contrapposte garanzie".

LEGITTIMA DIFESA - In commissione Giustizia Bonafede ha inoltre assicurato che gli interventi in tema di legittima difesa sono "una priorità". "Bisogna eliminare le zone d'ombra che rendono difficile e complicato dimostrare che si è agito per legittima difesa", ha spiegato, sottolineando che si tratta di "un tema che non riguarda solo la sicurezza ma anche la giustizia, perché un cittadino costretto a difendersi deve sentire che lo Stato è al suo fianco".

CORRUZIONE - "Un'architrave dell’azione del governo" è poi "il contrasto senza quartiere alla corruzione". Le misure strutturali, ha precisato Bonafede, "investono sia la dimensione investigativa per facilitare l’emersione delle fattispecie criminose sia la definizione giuridica e processuale del fenomeno corruttivo". "Sotto il profilo sostanziale, la prima misura allo studio del mio ministero è la rivisitazione degli istituti, come pena accessoria, dell’interdizione dai pubblici uffici per alcuni reati contro la pubblica amministrazione e dell’incapacità a contrattare con essa in presenza dei medesimi reati. L’obiettivo - ha spiegato - è quello di conseguire la massima deterrenza per coloro che, incaricati di pubblico servizio, siano tentati di trarre illecito e indebito profitto in ragione della propria posizione". Parallelamente, ha aggiunto, "sarà indispensabile accompagnare a tale strumento, il cosiddetto 'Daspo' per i corrotti e corruttori, una razionalizzazione complessiva delle cornici sanzionatorie, a cominciare dal traffico di influenze illecite, innalzando minimi e massimi edittali".

"Sotto il profilo, invece, dell’individuazione ed emersione del fatto corruttivo, l’impegno è quello di fornire supporto alle attività di indagine mediante l’utilizzo dell’agente sotto copertura. In questo senso, l’innovazione che si vuole introdurre - ha annunciato Bonafede - è quella di estendere all’ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione un istituto finora previsto, in attuazione della Convenzione NU di Palermo (2000) sul crimine organizzato transnazionale, nell’ambito di altre tipologie delittuose, prevalentemente di tipo organizzato. Si tratta di un intervento che segna un cambio di passo, una decisa inversione di rotta nella lotta alla corruzione nel nostro Paese ed un esempio unico in ambito comunitario, dove puntiamo a diventare virtuosa avanguardia".

TOGHE IN POLITICA - Secondo il ministro della Giustizia, per regolare il "corretto rapporto che deve instaurarsi tra politica e magistratura", un tema "delicato" e "di particolare rilievo all’interno del contratto di governo", è necessaria una iniziativa "parlamentare e non governativa". Nel contratto di governo, ha ricordato Bonafede, "è previsto il superamento del meccanismo delle porte girevoli tra politica e magistratura, tra Parlamento e aule giudiziarie. Un magistrato che decide legittimamente di impegnarsi per la gestione della cosa pubblica, partecipando a competizioni elettorali e rivestendo incarichi di governo, deve essere consapevole che non potrà tornare a esercitare la funzione giudiziaria perché ne risulterebbe menomata l’immagine di terzietà che chi amministra la giurisdizione deve invece sempre mantenere viva". "Ma ripeto, questo tema è giusto che sia affrontato in sede parlamentare - ha ribadito il ministro - in ossequio alla sacralità del principio della separazione dei poteri".

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