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Quando il Colle può dire no a una legge

03 gennaio 2019 | 14.46
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(Afp)
(Afp)

Sono stati due gli interventi del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, prima dell'entrata in vigore del decreto legge sicurezza, ora al centro della polemica tra alcuni sindaci e il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, che nel replicare ai primi cittadini li ha accusati di "incoerenza", perché "hanno applaudito il discorso" di fine anno del Capo dello Stato "e contestano un decreto firmato e promulgato dallo stesso Presidente della Repubblica".

In realtà, il 4 ottobre scorso Mattarella, dopo un lungo confronto tra gli uffici del Quirinale e del Viminale nella fase di elaborazione del provvedimento, emanò il decreto legge, accompagnando la firma con l'invio di una lettera al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per ricordare la necessità di rispettare "gli obblighi costituzionali ed internazionali dello Stato". Quindi, dopo la conversione in legge, il 1 dicembre scorso arrivò la promulgazione del testo ora in vigore, in quanto il Capo dello Stato non ravvisò quegli "evidenti profili di illegittimità costituzionale" che possono giustificare un rinvio alle Camere di una legge. Che in questo caso poi avrebbe comportato la decadenza del decreto senza possibilità di reiterazione.

"Il Presidente della Repubblica -come ha ricordato lo stesso Mattarella sin dai primi mesi del suo mandato- può soltanto chiedere un riesame" di una legge approvata dal Parlamento "quando riscontri un chiaro contrasto con la Costituzione". Come finora è avvenuto una volta sola dalla sua elezione al Quirinale, il 27 ottobre del 2017, quando fu rinviata alle Camere la legge sulle mine antiuomo, avendo ravvisato nel provvedimento "evidenti profili di illegittimità costituzionale".

Quando quindi non risulti palese il contrasto con la Costituzione, è la Consulta che, se investita del caso, può eventualmente dichiarare l'incostituzionalità di una legge, anche se questa abbia superato il primo vaglio del Capo dello Stato.

E' accaduto ad esempio per provvedimenti che causarono accese polemiche, come i cosiddetti lodi Schifani e Alfano sulla sospensione dei procedimenti penali che riguardavano le alte cariche dello Stato, promulgati, rispettivamente, dai Presidenti Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. O come le leggi elettorali, prima il 'Porcellum' e poi l'Italicum, firmate da Ciampi e Mattarella. Testi poi bocciati dai giudici costituzionali.

In altri casi può accadere che il Capo dello Stato, per varie ragioni tecniche e politiche, decida di promulgare comunque una legge, accompagnando però la sua decisione con lettere ai presidenti delle Camere e del Consiglio, nelle quali si registrano rilievi che si ritiene debbano restare in ogni caso agli atti.

Ciampi e Napolitano, ad esempio, più volte, proprio in riferimento ai decreti legge e alle profonde modifiche apportate in sede di conversione attraverso la tecnica del maxi-emendamento, sottolinearono la necessità di non comprimere i loro poteri di esame ed eventualmente di rinvio a causa dei tempi stretti che regolano l'iter dei decreti, da convertire entro sessanta giorni pena la loro decadenza.

Lo stesso Mattarella, nell'ottobre 2017 promulgò il cosiddetto codice Antimafia, per l'assenza di "evidenti profili critici di legittimità costituzionale" e per "l'importanza della normativa e l'opportunità che le disposizioni entrino presto in vigore". Tuttavia, in una lettera al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, invitava il governo, "particolarmente con riferimento all'ambito applicativo delle misure di prevenzione", a procedere ad "un attento monitoraggio degli effetti applicativi della disciplina".

Inoltre il Capo dello Stato segnalava l'esistenza di "profili critici" e quindi "l'esigenza di assicurare sollecitamente una stabile conformazione dell'ordinamento interno agli obblighi comunitari in relazione alle previsioni direttamente attuative di direttive europee, a suo tempo recepite nell'ordinamento interno e che non figurano nel nuovo testo".

L'attuale Capo dello Stato, il 30 novembre del 2017, promulgò la legge sul cosiddetto whistleblowing, che tutela gli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato. Sempre con una lettera al premier Gentiloni, sottolineò però che nell'emanazione del decreto attuativo di competenza dell'Anac, occorreva tener conto della necessità di non violare il segreto di indagine ed evidenziò l'esigenza di un intervento del Csm, perché nelle eventuali denunce i magistrati si rivolgano all'autorità giudiziaria competente e non a quella amministrativa.

Tornando al decreto legge sicurezza, Mattarella, come detto, il 4 ottobre scorso ne accompagnò l'emanazione con una lettera al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, avvertendo "l'obbligo di sottolineare -scriveva il Capo dello Stato- che, in materia, come affermato nella Relazione di accompagnamento al decreto, restano 'fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato', pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall'articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall'Italia".

Per l'articolo 10 della Costituzione, "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici".

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