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Alta tensione M5S-Pd, resta nodo Conte

25 agosto 2019 | 14.53
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Per il segretario dem ci vuole discontinuità che "deve essere garantita anche da un cambio di persone: "L'Italia non capirebbe un rimpastone". I 5 stelle fanno quadrato sul nome del premier uscente: "La soluzione è questa, Italia non può aspettare il Pd". Fico si sfila da premiership. I renziani escono allo scoperto chiedendo il via libera a Conte

(Foto fotogramma) - FOTOGRAMMA
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I 5 Stelle fanno quadrato sul nome di Giuseppe Conte. E mentre i renziani escono allo scoperto chiedendo al segretario dem di dare il via libera al premier uscente, Nicola Zingaretti tiene il punto: ci vuole discontinuità che "deve essere garantita anche da un cambio di persone. E' la posizione che ho sempre sostenuto e che ribadisco, convinto che si troverà una soluzione in un confronto reciproco, capendoci e interloquendo". "Il lavoro sui contenuti continua", insomma, ha detto Zingaretti in conferenza stampa dalla sede romana del Pd aggiungendo che "l'Italia non capirebbe un rimpastone. Lavoriamo per un patto di governo, non per ultimatum o contrapposizioni". "Abbiamo un mandato della Direzione per dare vita a un governo di svolta", ha sottolineato. Poi l'appello al "M5s e alle forze di sinistra a riunirci per verificare le possibilità di andare avanti". "Al centro bisogna mettere il lavoro per verificare se esistono le convergenze programmatiche non tra due parti che non si parlano - ha affermato Zingaretti - il mio appello è per superare le timidezze e andare al confronto sul merito". "Faremo di tutto per trovare una soluzione positiva che ancor non si vede", ha precisato riferendo che "domani continua il lavoro con i tavoli del programma con i sindaci, i presidenti di regione e anche con le associazioni. E' molto importante, pur nei tempi stretti, garantire la promessa fatta" e il mandato della Direzione Pd.

"La soluzione è Conte, il taglio dei parlamentari e la convergenza sugli altri 9 punti posti dal vicepresidente Di Maio. Non si può aspettare altro tempo su delle cose semplicemente di buon senso. È assurdo. L'Italia non può aspettare il Pd. Il Paese ha bisogno di correre, non possiamo restare fermi per i dubbi o le strategie di qualcuno", è arrivata a stretto giro la nota dei 5 Stelle.

"Sono tre giorni che aspettiamo di parlare dei problemi del Paese mentre i 5 Stelle parlano solo di poltrone. Noi siamo qui da ieri a parlare di contenuti", è la replica del vicesegretario vicario del Pd Andrea Orlando.

Dopo una telefonata questa mattina tra Di Maio e Zingaretti, che sembrava aver chiuso la partita, qualche ora dopo l'impressione era che il nodo si stesse allentando. Sembrava si intravedessero degli 'spiragli' nella trattativa sul ritorno di Conte alla guida di Palazzo Chigi. Il leader Pd era molto possibilista, avevano raccontano fonti stellate di primo piano: "In verità", viene spiegato, "sono rimasti solo lui e Paolo Gentiloni a dire no" alla riconferma di Conte, sulla quale, come ha detto Di Maio nel corso della telefonata, il M5S non accetta veti considerando quello del presidente del Consiglio uscente l'unico nome sul tavolo.

Fonti 5 Stelle avevano ribadito che "nessun confronto è possibile davanti ai veti". "Se i veti non si sciolgono - affermavano le stesse fonti - e non otteniamo le garanzie adeguate per il Paese diventa tutto molto difficile". "Per il MoVimento - sottolineavano - la lealtà a Conte non si discute, a lui riconosciamo le grandissime capacità dimostrate da premier. Dire di no a Conte per trovare altri nomi figli di strategie politiche, significa indebolire il Paese". "Non vorremmo che" il no a Conte "fosse una scusa per tornare al voto - osservano ancora le fonti stellate -. In tal caso Zingaretti e i suoi devono essere chiari".

Sul nome di Conte alla guida del nuovo governo è tornato a insistere anche il fondatore del Movimento, Beppe Grillo, che ha ripubblicato un estratto dell'articolo di elogio del 23 agosto scorso. Quanto aRoberto Fico nelle vesti di premier di un eventuale esecutivo giallorosso, fonti della Camera hanno reso nota la sua l'indisponibilità a lasciare l'incarico a Montecitorio.

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