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M5S in aula con Pd, scontenti Senato alzano tiro: "21 voti in bilico"

09 settembre 2019 | 19.57
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(Fotogramma)
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di Antonio Atte
In vacanza con la Lega, al rientro col Pd. Quando alla Camera dai banchi del Carroccio si alzano le prime urla durante il discorso del premier Giuseppe Conte - tornato a Montecitorio per chiedere la fiducia al suo secondo esecutivo - l'effetto straniamento per i grillini è inevitabile. Quelli che fino a poche settimane fa erano gli alleati si sono trasformati in rumorosi avversari, mentre i 'nemici' rossi di un tempo adesso plaudono alle parole del presidente del Consiglio e siedono al governo con i gialli.

"E' stato molto strano vedere la Lega dall'altra parte della barricata", ammette il deputato Sergio Battelli, mentre il Transatlantico è tutto un brulicare di leader vecchi e nuovi, ministri passati e futuri, sottosegretari uscenti ed entranti. E intanto al Senato scatta l'allarme numeri: "C'è il rischio che 21 dei nostri facciano mancare il loro voto domani", dice all'Adnkronos un esponente del direttivo M5S a Palazzo Madama. Cifre che al momento non trovano conferme, perché finora l'unico a esporsi pubblicamente contro la fiducia al Conte bis è stato Gianluigi Paragone.

Ma in attesa del passaggio al Senato, va in scena la prima fiducia targata M5S-Pd a Montecitorio. Al loro debutto nel 'Palazzo', le ministre dell'Interno Luciana Lamorgese e dell'Innovazione Paola Pisano, quest'ultima 'scortata' da alcuni deputati 5 Stelle come il piemontese Luca Carabetta (in odore di sottosegretariato).

La deputata ortodossa Doriana Sarli tira un sospiro di sollievo: "Rispetto alla Lega è sicuramente un'altra cosa. Le parole di Conte sul tema migranti e sul 'nuovo umanesimo' fanno ben sperare". Ma non mancano gli scontenti di questo nuovo corso: l'immagine dei ministri M5S che affiancano i dem nella prima foto di questo nuovo album di famiglia giallorosso, per alcuni eletti è come un pugno nell'occhio.

E il giovane Luigi Iovino, Commissione Difesa, non ne fa mistero mentre in buvette si sfoga con alcuni suoi colleghi. "In Campania l'alleanza con il Pd non va assolutamente fatta", le parole del deputato campano. Ci pensa poi Manlio Di Stefano a sgomberare il campo chiudendo definitivamente all'ipotesi di un accordo tra pentastellati e democratici in vista delle prossime regionali: "Non è possibile, al 100% non si farà".

Ma è la partita dei sottosegretari la principale causa di fibrillazioni e malumori all'interno del corpaccione parlamentare grillino. E i mal di pancia che in queste ore si registrano a Palazzo Madama vengono letti da molti come un tentativo, da parte di alcuni senatori, di alzare la posta per ottenere incarichi di peso. La gara è entrata nel vivo e, tra manovre sotterranee e autocandidature più o meno alla luce del sole, in tanti scalpitano per avere un posto al sole nel prossimo sottogoverno.

"Discontinuità", la parola d'ordine invocata da tanti: "D'altronde - osserva un parlamentare - con le 'graticole' abbiamo assistito a diverse bocciature...". Ostenta tranquillità Stefano Buffagni, alla Camera oggi senza cravatta: "La mia unica fede è l'Inter", si limita a dire dribblando qualsiasi domanda sull'attualità politica. Per il lombardo si parla di un ruolo come sottosegretario o addirittura viceministro al Mef, casella che nel precedente governo era occupata da Laura Castelli (la quale spera in una riconferma).

Concluso il sudoku del sottogoverno - mercoledì la deadline ipotizzata - potrebbe iniziare presto la corsa alla poltrona di capogruppo di Senato e Camera dopo la promozione a ministro di Stefano Patuanelli e il possibile 'upgrade' come sottosegretario di Francesco D'Uva (Cultura o Rapporti col Parlamento le destinazioni ipotizzate). I nomi che circolano a Palazzo Madama per il post Patuanelli sono quelli del vicecapogruppo Gianluca Perilli e degli ex ministri Barbara Lezzi e Danilo Toninelli. A Montecitorio, se D'Uva dovesse entrare nel sottogoverno, potrebbero entrare in partita Francesco Silvestri e Riccardo Ricciardi.

Da non sottovalutare, infine, il capitolo Commissioni, molte delle quali sono presiedute da esponenti della Lega. I giallorossi rischiano di non avere vita facile e il deputato leghista Igor Iezzi lo fa capire chiaramente, con un pragmatismo non oxfordiano ma di sicura efficacia: "Qui non passa un cazzo".

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