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Ricorso respinto: "Nome e simbolo del M5S sono di Grillo"

21 novembre 2019 | 19.34
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Lo ha stabilito il tribunale di Genova

Beppe Grillo  (Foto Fotogramma)  - FOTOGRAMMA
Beppe Grillo (Foto Fotogramma) - FOTOGRAMMA

Il simbolo del M5S è di Beppe Grillo. A dirlo è il Tribunale di Genova, che ha rigettato il ricorso promosso per togliere nome e simbolo al fondatore del Movimento. La vicenda risale al gennaio 2018, quando nacque il 'Comitato per la difesa dei diritti dell'associazione M5S', con tanto di nomina di un curatore degli interessi della prima associazione M5S, quella nata nel 2009. Il presupposto dei ricorrenti è il seguente: Grillo, avallando la costituzione della terza associazione M5S a dicembre 2016, e concedendogli anche il simbolo, è in conflitto di interessi nel difendere i diritti dei primi associati, ovvero di quelli che non vogliono 'trasmigrare' nella nuova associazione.

Per il giudice Paola Luisa Bozzo Costa non è così. Come nel giudizio cautelare, per il Tribunale di Genova la proprietà del contrassegno, a cui è legata il diritto del nome, è sempre stata in capo a Grillo, e questo pur riconoscendo un conflitto d'interesse del fondatore del Movimento per i ruoli apicali rivestiti nelle tre diverse associazioni, Grillo è infatti capo politico nella prima, presidente del consiglio direttivo nella seconda e garante nella terza. I ricorrenti promettono battaglia, e si dicono pronti a ricorrere in appello.

Per Lorenzo Borrè, protagonista di altre battaglie contro i vertici del M5S, ci sono infatti "ampi margini per l'appello: premesso il rispetto per le sentenze della magistratura, le argomentazioni della sentenza appaiono contraddittorie laddove, da una parte, si riconosce il conflitto di interessi in capo a Beppe Grillo quale soggetto che ricopre cariche apicali nelle tre distinte associazioni e poi non si riconosce il conflitto d'interessi tra le tre associazioni e quindi il diritto della prima di inibire alle altre due l'utilizzo del nome Movimento 5 Stelle".

"Così come - prosegue il legale - nel punto in cui, dopo aver riconosciuto che la prima associazione non si è trasformata in quella che ora siede in Parlamento, si minimizza la questione sostenendo che il partito ha raccolto l'esperienza dell'associazione del 2009, con cui però c'è conflitto d'interessi. L'antiteticitá tra le associazioni è stata peraltro oggettivamente rilevata anche dagli elettori. Anche il capo della sentenza che ha rigettato la richiesta di reintegrazione nel sito movimento5stelle.it merita di essere riformato, non essendo giustificabile che un'associazione venga privata di punto in bianco della sua sede, ancorché 'virtuale'". Per questo, "chiederemo al Curatore speciale di proporre appello".

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