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Crisi governo

Salvini e l'opzione Draghi al Colle: il "why not" nel 2019

03 febbraio 2021 | 12.30
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A marzo il "grazie" per il debito

Fotogramma /Ipa
Fotogramma /Ipa

Matteo Salvini e Mario Draghi. "Il problema, non è il nome della persona. E io l’ho anche detto a questa persona. II punto è che cosa vuole fare e con chi". Si attesta su questa posizione il leader della Lega, all'indomani della convocazione al Colle dell'ex presidente della Bce, oggi alle 12 da Mattarella. Attendista, perché prima vuole vedere le carte: chi sarà cooptato nella lista dei ministri, quale sarà il programma di Mario Draghi. Il nome del banchiere italiano più noto nel mondo da tempo circola anche tra le discussioni in casa leghista. Non è un mistero che Giancarlo Giorgetti abbia 'consuetudine' con Draghi, tra i leghisti c'è chi dice che loro, il banchiere e l'ex sottosegretario di Palazzo Chigi, "si sentono spesso, da tanto tempo".

Meno confidenza ha Salvini, ma sarà lui a dover scegliere la linea, mediando con gli alleati del centrodestra. Quello di Draghi, comunque è un nome che Salvini ha citato altre volte, nel corso di questi ultimi mesi. E non sempre sollecitato dai giornalisti. "Mi si permetta di ringraziare il presidente Draghi per le sue parole, perché è caduto il mito del non si può fare debito, oggi ci ha detto che 'si può fare debito'", disse il leader leghista, al Senato, lo scorso 26 marzo, in piena prima ondata, trovando il modo - quasi en passant - di tirare in ballo l'ex numero uno della Bce, che sul Ft apriva a interventi in debito, vista l'emergenza del coronavirus, dando un segnale forte, non solo dal punto di vista strettamente economico.

"Benvenuto presidente Draghi - sottolineava allora in Aula Salvini - ci serve l'aiuto di tutti, ci serve anche il suo, quindi sono contento, di quello che potrà nascere". Poche parole che erano però la cifra più politica dell'intervento del leader della Lega, un'apertura che sembrava più di un auspicio. Già allora.

Quella a Palazzo Madama non era la prima volta che Salvini tirava per la giacca Draghi. "L'ex presidente della Bce presidente della Repubblica? Why not", aveva detto, anche qui a sorpresa, il 6 novembre 2019, durante una trasmissione televisiva, che lo aveva visto ospite di Mario Giordano.

Molti avevano letto quelle parole, in quella fase politica, come un tentativo per poter 'consentire' un voto anticipato nel Paese, assicurando che, dai leghisti, per l'elezione del successore di Mattarella, prevista per il 2022, non ci sarebbero stati colpi di testa sovranisti, ma che anzi, per il Colle, si poteva pensare all'uomo simbolo dell'establishment finanziario.

Un "why not", che a marzo scorso era diventato un quasi endorsement al banchiere ideatore del Quantitative easing nel 2015, che già diede una grossa mano all'Italia, ai tempi della crisi finanziaria. E che ora potrebbe essere l'uomo, anche per Salvini, su cui contare ("ci confronteremo senza pregiudizi") per traghettare il paese fuori dall'emergenza economica del coronavirus.

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