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Il rigore di Gianfranco Teotino, in questi Mondiali il calcio è festa, sembra di vivere in un altro mondo

29 giugno 2014 | 16.14
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(Infophoto) - INFOPHOTO
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Settantatremila spettatori. Almeno quarantamila colombiani. Il Maracana era un'immensa macchia gialla. Come quando gioca il Brasile, anche perché accanto ai tifosi dei Cafeteros c'erano un bel po' di brasiliani, con la maglietta gialloverde d'ordinanza pure loro. Ma in tutti i settori dello stadio, curve, tribune, distinti, qua e là notavi isole d'azzurro, gruppi di uruguaiani sistemati in mezzo ai "nemici". Fianco a fianco. Senza nessuna barriera. Senza un solo poliziotto dentro lo stadio (tantissimi fuori, naturalmente).

E con una presenza assai discreta dei cortesissimi steward, impegnati il più possibile a non farsi notare. Meravigliose scene di passione sportiva autentica. Alla fine c'era chi ballava e chi piangeva. Gomito a gomito. Ora le cronache parlano di dieci feriti lievi: graffi, un occhio nero, niente di che. Ho assistito personalmente a fine partita a una scazzottata - sana, verrebbe da scrivere - perché un colombiano stava esagerando nel prendere in giro un uruguaiano. Se le sono date per un po'. A mani nude, ovviamente. La gente intorno si è guardata bene dall'intervenire. Gli steward li hanno divisi. E' finita così. Come capitava negli stadi italiani una quarantina d'anni fa.

In questi Mondiali il calcio è sempre festa, sembra davvero di vivere in un altro mondo. In un'altra civiltà. La mattina dopo ti svegli e leggi sui giornali italiani che il Viminale è infuriato perché le società di Serie A, a campagne abbonamenti già abbondantemente iniziate, non hanno fatto nulla di quello che si era deciso di fare per rendere gli stadi italiani un po' meno ostili alla gente perbene. Né le app per acquistare i biglietti on line, né la segmentazione delle zone più pericolose delle curve, né l'introduzione di premi e incentivi per le tifoserie più corrette. Italia, terzo mondo del pallone.

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