L'accresciuta presenza dei fondi esteri nel capitale delle principali società quotate italiane potrebbe essere un frutto contingente dell'attuale situazione dei mercati finanziari, contraddistinta dall'abbondante liquidità erogata dalle banche centrali. In ogni caso, il vero punto della questione è che, in un settore cruciale come quello bancario, l'Italia si sta aprendo molto, anche per decreto, al capitale estero, mentre altri Paesi, come la Germania, se ne guardano bene. Ad evidenziare i lati critici dell'evoluzione in corso in questi anni nel sistema capitalistico italiano è Vladimiro Giacché, economista e saggista, presidente del Centro Europa Ricerche.
Nell'accresciuto interesse degli investitori istituzionali esteri per gli asset italiani, osserva, "l'elemento opportunistico è molto forte senz'altro. E' anche vero che il nostro mercato è stato il più penalizzato: mentre il Dax non è lontano dai massimi da sempre, il Ftse Mib dal 2007 ha quasi dimezzato i suoi valori, quindi c'è un margine di upside significativo".
Il problema, secondo Giacché, "è capire se siamo all'inizio di una fase di ripresa, oppure se la dinamica positiva degli ultimi mesi sia dovuta in gran parte ad elementi esogeni", come la forza del dollaro, il calo del petrolio e il Qe della Bce. I mercati azionari hanno fortemente beneficiato della liquidità immessa dalle banche centrali. "Se confrontiamo l'andamento dello S&P 500 con le iniezioni di liquidità della Federal Reserve, ad esempio, vediamo che combaciano perfettamente", rileva. Per l’Italia il vero dilemma è capire "se prevalgono dinamiche esogene o se lo sviluppo è autoalimentato. Al momento non abbiamo ancora evidenze sufficienti per confermare la seconda ipotesi".
Del resto, continua l'economista, "la crisi spinge verso assetti di governance più efficienti" delle imprese, anche al di là della presenza rafforzata di investitori esteri. In ogni caso, non si può davvero affermare che oggi il nostro sistema sia chiuso a questi investitori. Al contrario, ad esempio nel settore bancario, rileva, "c’è ormai un'asimmetria di condizioni tra il nostro Paese e altri Paesi dell'Eurozona". Riguardo al decreto sulle banche popolari, "non si capisce per quale motivo dobbiamo aprire solo noi, quando ad esempio nel settore bancario tedesco ci sono centinaia di soggetti bancari importanti che sono pubblici e non aperti, come le Sparkassen e le Landesbanken. Oltretutto le regole della vigilanza europea sono state costruite in modo da lasciare quasi tutte queste banche al di fuori anche dalla vigilanza europea".
"Non si vede per quale motivi - prosegue Giacché - noi innoviamo gli assetti proprietari in direzione di una maggiore apertura senza esigere che gli altri facciano lo stesso". Tra il 2008 e il 2011 in Europa "sono stati erogati 1.600 mld di euro di aiuti pubblici alle banche, mentre noi di soldi veri ne abbiamo dati 15 mld, sotto forma di prestiti a titolo oneroso. Con quel fiume di danaro pubblico molte banche europee fallite sono state rimesse in piedi e ora possono diventare predatori. Il tema degli assetti proprietari è molto delicato e andrebbe affrontato in maniera europea e in condizioni di parità e reciprocità. Se questo non avviene, il risultato è una caricatura del mercato, con asimmetrie inaccettabili. In assenza di reciprocità, io starei molto attento ad aprire in modo indiscriminato".
Per dirla tutta, conclude l'esperto, "non siamo in un mondo in cui eravamo gli unici ad avere la golden share, mentre il resto del mondo vedeva il trionfo dell'azionariato diffuso. Oggettivamente non è così. Altrove gli assetti proprietari nei settori strategici vengono protetti con molta maggiore energia".