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Lavoro: fino a 20.000 i dipendenti sindacali, ma per loro niente art.18

29 settembre 2014 | 15.07
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Escluse dal legislatore dal campo applicativo dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, e assoggettati alla sola tutela obbligatoria della legge n. 108/1990.

I tre leader sindacali Angeletti, Bonanni e Camusso
I tre leader sindacali Angeletti, Bonanni e Camusso

Lo ha ricordato il premier Matteo Renzi a 'Che tempo che fa': "L'unica azienda al di sopra dei 15 dipendenti che non ha l'articolo 18 è il sindacato, che poi ci viene a fare la lezione". In effetti, quella costituita dai sindacati in Italia è un''impresa' sì, ma molto particolare, e chi vi lavora non ha quelle tutele come l'articolo 18 per la cui permanenza il sindacato si batte.

Anche se è difficile quantificare con esattezza i dipendenti, le stime sul personale complessivo in forza alle principali organizzazioni sindacali variano dai 10.000 ai 20.000 dipendenti ("più vicini sicuramente ai 20.000 che non ai 10.000", precisa a Labitalia Giuliano Cazzola, profondo conoscitore del mondo sindacale ed ex dirigente cgiellino).

Per la legge, questa forza lavoro appartiene a un''impresa di tendenza', quella cioè dove i “datori di lavoro non imprenditori svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto”. Oltre ai sindacati, dunque, sono imprese di tendenza anche Confindustria, le Acli, le ong e le associazioni di volontariato. Tutte escluse dal legislatore dal campo applicativo dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e assoggettate alla sola tutela obbligatoria della legge n. 108/1990.

"E' vero: i sindacati -conferma a Labitalia il giuslavorista Michele Tiraboschi- non applicano l'articolo 18 ai propri dipendenti perché sono organizzazioni di tendenza, come i partiti. Si presume che in queste organizzazioni si lavori per un rapporto di fiducia, per comunanza di idee, valori e percorsi. E quindi si prevede una maggiore flessibilità nel rapporto di lavoro".

Ma, per Tiraboschi, "naturalmente oggi non è più così: in organizzazioni così grandi come la Cgil, la Cisl o il Pd non si può pensare che vi si lavori solo in base alla militanza". Tiraboschi ammette che "non è possibile quantificare precisamente il numero dei dipendenti dei sindacati, perché non hanno una regolazione di legge, non sono organizzazioni riconosciute e non hanno obbligo di presentare i bilanci".

"Certo però -avverte Tiraboschi, che è docente all'Università di Modena e Reggio Emilia- impostare il tema dell'articolo 18 vedendo i sindacati cosa fanno in casa loro è sbagliato. Si sta discutendo di principi e di idee e si deve continuare a discutere di quello".

"La ratio della legge attuale è che nell'impresa di tendenza -spiega a Labitalia Giuliano Cazzola, docente di diritto del Lavoro all'Università degli Studi eCampus- le finalità 'ideali' previste dall'associazione abbiano tutele maggiori dei singoli individui che vi lavorano".

E negli anni nessuno ha mai messo in discussione questo principio. "No, anzi", conferma Cazzola. "Il principio è stato codificato con la legge 108 del 1990 che ha escluso queste associazioni dall'applicazione di tutele come l'articolo 18; prima -conclude- era solo un orientamento giurisprudenziale, dopo ha avuto forza di legge".

Ma, in un eventuale ricorso del lavoratore al giudice, spiega a Labitalia il giuslavorista e docente di Diritto al Lavoro della Luiss, Roberto Pessi, "quest'ultimo potrebbe dare anche ragione al lavoratore, individuando lo scopo di lucro e prevedendo l'articolo 18". "Questo è difficile che avvenga per i sindacati, ma è una possibilità per esempio con gli istituti di culto e magari per i Caf", conclude.

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