Negli esiti riferiti ai contenziosi fiscali registrati in tutte le Commissioni tributarie provinciali del paese, nel 45% dei casi definiti nel 2016 ha avuto ragione il fisco, nel 31,5% invece, ha vinto il contribuente. L'11,8% si è risolto con un giudizio intermedio, l'1% con un condono e il 10,7% con un condono o con altri esiti. Lo scarto aumenta quando il risultato è riferito al valore economico del giudizio: sempre nel 2016, gli importi delle sentenze a favore del fisco sono stati pari al 48,1%, mentre la percentuale di vittoria ad appannaggio del contribuente si è fermata al 23,4%. Anche in Commissione tributaria regionale si registrano più o meno gli stessi differenziali sempre a vantaggio degli uffici del fisco. A rilevarlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Insomma, per dirla con gergo calcistico: erario batte contribuente 4-3. Del resto, si deve considerare che far valere le proprie ragioni nei confronti del fisco, ricorrendo alla giustizia tributaria ha un costo, non solo in termini di tempo, ma anche di denaro - osserva la Cgia - le cifre che si deve sobbarcare il contribuente variano di molto in relazione alla complessità e al valore della pratica e sono dell’ordine delle migliaia di euro.
Inoltre, va considerato che il ricorso non evita il versamento, anche se parziale, di quanto richiesto dal fisco: ad esempio a fronte di un avviso di accertamento è prevista la riscossione di 1/3 delle imposte contestate, mentre prima di ricorrere in secondo grado (in caso di sentenza avversa al contribuente in primo grado) si deve versare 2/3 degli importi dovuti a titolo di imposta ed interessi (al netto di quanto già versato). Se a ciò si aggiunge che il tempo medio della giustizia tributaria è di circa 2 anni e 2 mesi per ognuno dei due gradi del giudizio, si comprende come per importi “piccoli” al contribuente convenga pagare piuttosto che ricorrere.