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Medicina: cardiologo, 'fotografare' i bisogni per cure mirate e sostenibili

28 novembre 2017 | 08.43
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(Fotogramma) - FOTOGRAMMA
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L'Italia invecchia, i malati di cuore aumentano e grazie ai progressi della medicina sopravvivono sempre più a lungo. Un 'esercito' in crescita che finisce nel mirino della prevenzione secondaria, con l'obiettivo di evitare una ricaduta a chi un evento cardiovascolare l'ha già avuto e superato. Come garantire a questi pazienti le cure migliori, salvaguardando la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale? "Quello che va fatto è un lavoro di 'schedatura', di screening". Una fotografia "che consenta di allocare il giusto su quella patologia e su quel malato. Una progettazione basata sui dati, individuali o di gruppo, per terapie sempre più mirate". A indicare la strada è Massimo Volpe, presidente della Siprec, la Società italiana per la prevenzione cardiovascolare.

L'esperto, preside della Facoltà di Medicina e Psicologia dell'università Sapienza di Roma, ordinario di Cardiologia e direttore dell'Unità operativa complessa di Cardiologia dell'ospedale Sant'Andrea della Capitale, evidenzia la necessità di affinare, implementare e coordinare "la raccolta dei dati personali dei pazienti - spiega all'AdnKronos Salute in occasione del convegno 'Armonizzare la ricerca e la pratica clinica per migliorare la prevenzione delle malattie cardiovascolari' (Milano, 24-25 novembre) - per avere un concentrato di informazioni che ci diano la possibilità di sapere non solo quanto costa un malato, ma anche a cosa è più esposto e cosa sarebbe meglio che facesse".

"Sono discorsi difficili ma da Terzo millennio", avverte lo specialista. L'intervento, riflette, richiede un'alleanza di tutti gli attori in campo: istituzioni, industria farmaceutica e medici. Insieme dovrebbero giocare ognuno la propria parte "per fare valutazioni più complessive in un'ottica di spesa sanitaria, non solo di spesa farmaceutica o di spesa ospedaliera". E' ovvio, ammette Volpe, che "è molto difficile allocare tante risorse a una massa così grande" come quella delle persone in lotta contro le patologie cardiovascolari big killer. Tuttavia "è una problematica molto attuale non solo per i sistemi sanitari, ma anche per le grandi aziende che producono farmaci, device o valvole" spesso molto costosi. La sfida è "fare ogni sforzo per comprendere le esigenze dei pazienti e dei sistemi sanitari, trovare delle formule che possano consentire al maggior numero possibile di pazienti di ricevere questi nuovi trattamenti".

La prevenzione primaria contro i fattori di rischio che minacciano cuore e vasi "oggi è diventata realtà", osserva l'esperto. "Gli stili di vita sani sono una parte integrante della prescrizione", nel senso che "il medico non li deve semplicemente declamare: li deve mettere in ricetta", ammonisce il cardiologo. Sempre sul fronte della prevenzione primaria "abbiamo farmaci che possiamo utilizzare con risultati eccellenti", dagli anti-colesterolo agli antipertensivi, agli antipiastrinici. Ovviamente anche in questo caso "non si dà tutto a tutti - puntualizza Volpe - L'intervento va graduato e tarato in base alle esigenze del paziente, ma dove è necessario il medico deve conoscere le armi che ha a disposizione e come può utilizzarle". Fare gol in prevenzione primaria "significa che avere un infarto prima del 65-70 anni in futuro sarà difficile". Se saremo bravi, "ne vedremo pochi e sempre di meno".

Il problema della prevenzione secondaria, invece, è che "di fatto consiste nella terapia. Quando una persona viene dimessa dall'ospedale dopo un infarto - ricorda lo specialista - riceve una lista di 7-8 farmaci che generalmente sono antipiastrinici, ipocolesterolemizzanti, a volte antidiabetici, molto spesso Ace-inibitori, beta-bloccanti e tutto ciò che serve per non avviare ineluttabilmente il paziente verso lo scompenso cardiaco. La novità più recente, di grandissimo impatto sulla comunità scientifica e sull'opinione pubblica, è stata l'idea di usare farmaci antinfiammatori nell'infarto". L'esperto cita in particolare lo "spettacolare risultato" dello studio 'Cantos' sull'anticorpo monoclonale canakinumab. "Un trial 'proof of concept'", ossia cruciale anche a livello teorico, perché "è stato dimostrato che l'infiammazione gioca un ruolo nell'esporre il paziente a un maggiore rischio e quindi che combatterla è importante".

"Si tratta di farmaci molto costosi", che però "potrebbero avere una prospettiva - ritiene Volpe - anche perché" in Cantos il canakinumab ha prodotto "una riduzione sia del rischio di un nuovo infarto sia di tumore al polmone. E la sfida maggiore oggi è proprio quella di avere dei farmaci multitarget". Una medicina, più bersagli. Ma per non fallire l'obiettivo della prevenzione secondaria, conclude l'esperto, la chiave è fare rete. Dopo le dimissioni di un infartuato, "non si tratta soltanto di ospedale e territorio che 'parlano poco'. La catena è molto più ampia" e per questo servono schedatura e pianificazione: "Quanti sono i pazienti? Di quante riabilitazioni cardiologiche abbiamo bisogno? Di che spesa farmaceutica? Quanti ricoveri uno scompensato grave ha fatto l'anno prima? Quanti gliene posso evitare l'anno dopo con una terapia mirata? Quante risorse risparmio e posso riallocare?". Fotografare i bisogni è il primo passo per soddisfarli meglio, salvando vite e risorse.

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