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G7, a Chantilly il 'nemico' Libra mette tutti d'accordo

17 luglio 2019 | 21.17
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G7, a Chantilly il 'nemico' Libra mette tutti d'accordo

dell'inviato Massimo Germinario

Tutti d'accordo sul 'nemico comune', o perlomeno sulla "preoccupazione" per le ripercussioni che Libra, la criptovaluta promossa da Facebook, potrebbe avere sul sistema finanziario, con rischi sul fronte anche del riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. E' stato un consenso piuttosto facile quello che nella prima giornata del G7, in corso a Chantilly, hanno trovato i ministri delle Finanze, i governatori centrali e i rappresentanti delle principali organizzazioni internazionali: anche se, hanno ammesso - prima a mezza voce quindi per bocca del padrone di casa, il francese Bruno Le Maire - l'affermazione di queste monete digitali evidenzia la necessità di un sistema di pagamenti internazionali "migliore e meno costoso" soprattutto per le transazioni transfrontaliere e per i Paesi in via di sviluppo. Su Libra – gli ha fatto eco il ministro dell'Economia Giovanni Tria - "c’è una preoccupazione generale" che "si tradurrà in una azione di controllo e in un intervento".

Ma prima ancora che i lavori ufficiali avessero inizio lo stesso Le Maire aveva scandito che "Libra non può diventare una valuta sovrana" e sottolineando di "condividere la inquietudini" del segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin . Libra – aveva spiegato - dovrebbe "rispettare le normative circa la lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo: Ma oggi non ci sono queste condizioni" e quindi "non si può permettere che venga messa in circolazione una moneta che non rispetta le condizioni poste a tutte le altre valute".

Toni battaglieri – con una enfasi 'sovranista' – ribaditi da Le Maire anche sul nodo dello scontro con Washington, dopo l'annuncio di ritorsioni Usa legate al varo della tassa francese sui 'colossi del web' (i cosiddetti Maga, acronimo di Microsoft, Apple, Google e Amazon), tassa che però – ha assicurato il ministro – "non è diretta contro nessuno in particolare e che la Francia è pronta a ritirare se si dovesse giungere alla definizione di una normativa internazionale" in ambito Ocse.

“Sono perfettamente consapevole delle preoccupazioni” degli Usa per la nuova tassa francese – ha spiegato - “ ma voglio ricordare che è la prima volta che viene decisa l’apertura di una procedura 301 contro un alleato come la Francia, e non mi sembra il modo migliore per risolvere la questione”. E se sulla tassa ai colossi del Web la Francia “alla fine ha deciso di andare avanti da sola è perché la gente è stanca delle discussioni fra i leader: aspetta decisioni. Se si guarda all’ascesa del populismo e del nazionalismo soprattutto in Europa è per l’assenza di decisioni: servono leader” come Emmanuel Macron, ha aggiunto.

E ai partner del G7 ha sottolineato di essere “pronto ad aspettare ma non per l’eternità, ora è il momento delle scelte”, perché – anche alla luce della sfida dell’elusione fiscale delle multinazionali - “dobbiamo costruire la tassazione del 21mo secolo, non possiamo basarci su un modello del secolo scorso”. Sulla fiscalità dei colossi del web, ma più in generale sull’armonizzazione della fiscalità per le grandi imprese, ha aggiunto Le Maire, “speriamo in un accordo nel 2020 sui principi e quindi le prime decisioni a fine anno”. “Un accordo a livello di G7 è decisivo: se non lo troviamo qui – ha osservato - francamente sarà difficile trovarlo fra i 129 paesi dell’Ocse”.

Nella prima giornata del G7 di Chantilly sulla questione della tassazione internazionale c’è stata “una discussione costruttiva, con progressi concreti” ha aggiunto Le Maire a fine giornata dicendosi “fiducioso” che sulla aliquota di tassazione minima per le imprese “domani si potrà definire il principio della necessità” di una simile tassazione. Anche se – ha ammesso - “resta complicata la discussione su come affrontare nello specifico” la tassazione di “modelli di business altamente digitalizzati”.

Toni echeggiati da Tria che ha ricordato come gli interventi per una armonizzazione fiscale sulle società così come gli interventi come quelli sui colossi del web “devono essere ovviamente internazionali, non nazionali” e “questo significa anche aumentare nel complesso le tasse alle multinazionali”. Il ministro italiano ha spiegato come la discussione intorno al tema della tassazione internazionale ruota “su due punti principali: il primo è quello di evitare che le multinazionali possano portare i profitti dove la tassazione è più bassa”, un nodo che riguarda “soprattutto l’economia digitale” mentre il secondo è la definizione di “un livello minimo sulla tassazione delle multinazionali” che impedisca ai colossi di porre la loro sede “in paesi che applicano tassazioni molto basse e quindi fanno concorrenza fiscale a scapito delle imprese degli altri paesi”.

Un problema, in fondo, di diseguaglianza (fiscale) che tornerà certamente nella discussione di domani dove gli squilibri – anche di genere – troveranno un interlocutore di eccezione come Melinda Gates, una ‘filantropa globale’ che ricorderà ai grandi delle economie avanzate la necessità di più inclusione, per una crescita più equilibrata e più solida.

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