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Mafia: depistaggio Borsellino, Genchi 'ho prove ciò che dice Boccasini non è vero/Adnkronos

21 febbraio 2020 | 16.22
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Ilda Boccassini
Ilda Boccassini

(dall'inviata Elvira Terranova) - "Ha sorpreso, molto sorpreso, il fatto che il dottor Gioacchino Genchi abbia improvvisamente deciso di non collaborare più alle indagini, adducendo giustificazioni generiche e non del tutto convincenti". E' il 25 maggio del 1993 e Ilda Boccassini e Fuasto Cardella, due dei pm che coordinavano le indagini sulle stragi mafiose del '92 scrivono al Procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra. Si dicono "sorpresi" per la decisione del consulente tecnico, l'ex vicequestore aggiunto della Polizia di Stato Gioacchino Genchi, di lasciare l'inchiesta condotta con il gruppo investigativo 'Falcone e Borsellino' guidato dall'allora dirigente della Squadra mobile, Arnaldo La Barbera. A distanza di 27 anni, però, Ilda Boccassini, dà una versione differente sull'addio di Genchi alle indagini che conduceva come informatico sulle stragi. E lo stesso Genchi dice all'Adnkronos "quelle dette da Boccassini che sono solo bugie, e questo documento inedito ne è la prova".

Ieri, nel corso del processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage di via D'Amelio, a Caltanissetta, collegata in videoconferenza, l'ex Procuratore aggiunto di Milano, collegata in video conferenza, attacca duramente Gioacchino Genchi. E, rispondendo alle domande dei pm Gabriele Paci e Stefano Luciani, dice: "Genchi era una persona pericolosa per le istituzioni, aveva conservato un archivio con i tabulati che aveva raccolto. E poi vedeva complotti e depistaggi ovunque. Non mi piaceva e così fu allontanato".

Nella lettera scritta con il collega Fausto Cardella, nel 1993, durante le indagini, si dice invece "sorpresa per la decisione" del consulente informatico che dopo le stragi era stato chiamato per dare una mano al Procuratore Giovanni Tinebra. "Non mi piaceva questo suo atteggiamento - ha spiegato Boccassini al Tribunale - chiese di indagare anche su Giovanni Falcone, dopo la strage di Capaci, chiese di esaminare persino le sue carte di credito. Non mi piacque e lo dissi a Tinebra, gli spiegai: 'Le analisi dei tabulati le può fare chiunque'. Insomma, non mi piaceva il suo modo di lavorare, così fu allontanato. Tinebra non voleva perdere la mia capacità lavorativa, quindi da quel momento Genchi non si è più occupato di stragi". E ha definito "miserie umane" alcune dichiarazioni "fatte da Genchi sui giornali". "Era una persona di cui non avevo fiducia e non credo di essermi sbagliata". "Nei primi tempi eravamo convinti che Genchi lavorasse bene ma poi abbiamo capito che il suo apporto era stato nullo all'indagine". "Se non sui computer analizzati non ha fatto nulla - dice - non era un investigatore ma era un tecnico, non poteva portare nessun apporto a un indagine cosi seria".

"Era una persona talmente pericolosa perché aveva conservato un archivio pazzesco, avevo chiesto persino ai miei colleghi di Milano di non utilizzarlo mai, perché vedeva complotti e depistaggi da tutte le parti".

Ecco cosa scriveva, invece, Ilda Boccassini nella lettera inviata a Tinebra il 25 maggio 1993: "Come è noto, con delega del 6 gennaio 1993, veniva incaricato il gruppo di lavoro diretto da Arnaldo La Barbera di svolgere complesse indagini preliminari sui contatti telefonici e sui collegamenti da questi desumibili del dottor Bruno Contrada". "La parte più complessa e delicata dell'attività investigativa era stata affidata al dottor Gioacchino Genchi che appariva idoneo per le sue specifiche conoscenze tecniche e per la sua competenza nel settore della telefonia". "E' ovvio che per poterlo mettere in condizioni di svolgere il suo lavoro si è dovuto fare conoscere al dottor Genchi tutte le risultanze processuali, anche le più riservate. Il dottor Genchi, d'altra parte, nell'accettare di svolgere le indagini, per le quali si era spontaneamente offerto, aveva mostrato di essere ben consapevole dell'onere e dei rischi che esse comportavano".

Da qui "la sorpresa" dei due magistrati per l'addio di Genchi. Mentre ieri, Boccassini, al processo sul depistaggio ha ripetuto più volte che era stata lei aa pretendere l'allontanamento di Genchi dalle indagini. “La pm Boccassini, però, non nutriva gli stessi sentimenti nei miei confronti nel 1992 e fino al 25 maggio 1993 – dice oggi Giacchino Genchi - quando dopo avermi incaricato di svolgere le indagini più riservate sulle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, inveì per la sua improvvisa decisione di lasciare il gruppo di indagini per asserite “ragioni di sicurezza”, come La Barbera aveva dato a credere ai magistrati di Caltanissetta, che di contro hanno ritenuto di chiedere conto a me delle sue decisioni solo 16 anni dopo, agli inizi del 2009, con una audizione che è stata la vera causa della mia strumentale “sospensione” dal servizio e della sua successiva destituzione dalla Polizia di Stato, proprio per avere riferito nel corso di un pubblico convegno dei depistaggi di Arnaldo La Barbera e dei vertici del Ministero dell’Interno dell’epoca sulle stragi del 1992”.

“Facciamo un passo indietro nel tempo. I primi giorni dell’ottobre del 1992 sembrano decisivi per risolvere il rebus delle stragi: su via D’Amelio, io avevo contribuito ad individuare l’intercettazione a casa della sorella di Borsellino e pensava di aver scovato il telefonista, Pietro Scotto- ricorda ancora Genchi - Quanto a Capaci, ci sono i contenuti delle agende elettroniche di Giovanni Falcone, con l’annotazione del viaggio in America alla fine di aprile del 1992".

"Non appena la consulenza viene depositata, nonostante le pressioni per non farlo, i “ringraziamenti” a me per il recupero dei dati non mancano: mi vengono revocati i due incarichi - racconta Genchi - E vengo trasferito dalla direzione della Zona Telecomunicazioni per la Sicilia Occidentale e dal Nucleo Anticrimine, che per volontà del Capo della Polizia Parisi congiuntamente dirigeva da alcuni giorni prima della strage di Via D’Amelio, all’XI Reparto Mobile di Palermo, per occuparmi di manifestazioni e cortei. Dalle stragi agli stadi, in un lampo”. Mentre sui tabulati di cui parla Boccassini dice: “I tabulati che io ho acquisito ed elaborato come consulente tecnico dei pubblici minsiteri sono sempre rimasti a disposizione dei magistrati che li avevano acquisiti ed utilizzati nei processi”.

Ieri Genchi, sulle parole dell'ex pm, aveva detto: "Ilda Boccassini a distanza di quasi un trentennio da quegli eventi non si rende ancora conto di essere stata - probabilmente senza volerlo, perché indotta da altri sentimenti - la prima vera responsabile dei depistaggi delle indagini sulle stragi che grazie a lei Arnaldo La Barbera ed altri, sopra e sotto di lui, hanno potuto compiere".

"La sua repentina fuga da Caltanissetta dopo avere contribuito ad accreditare il falso pentito Scarantino, il suo infausto passaggio da Palermo e il ritorno a Milano, da dove era andata via per le note vicende a tutti note, ne sono una conferma", dice. "Ilda Boccassini, all'epoca in cui era pubblico ministero a Caltanissetta, dopo avermi richiesto ed autorizzato ad analizzare i computer e i dispositivi informatici di Giovanni Falcone, oltre che ad acquisire i tabulati delle sue utenze cellulari, non mi ha consentito di verificare dalle sue carte di credito l'effettiva trasferta in America alla fine di aprile del 1992, che Falcone aveva scrupolosamente annotato nel suo data bank Casio, che delle manine di Stato su cui la Boccassini non volle mai indagare avevano provveduto a cancellare", ha aggiunto Genchi.

E oggi rincara la dose: “È chiaro, quindi, che io non avevo nessuna paura a fare il mio lavoro, come La Barbera aveva voluto far credere nel maggio del 1993 ai magistrati di Caltanissetta che gli hanno creduto, senza nemmeno ritenere di chiedere conto a me sulle effettive ragioni del suo volontario e repentino abbandono del gruppo di indagini sulle stragi, dopo l’epico scontro con Arnaldo La Barbera, protrattosi per tutta la notte dei giorni fra il 4 e il 5 maggio 1993. Eppure, Arnaldo La Barbera diffonde la voce che io avevo abbandonato le indagini sulle stragi perché temeva per la mia sicurezza".

"Ma, privata del poliziotto su cui fa perno l’inchiesta, i magistrati di Caltanissetta titolari delle indagini, Fausto Cardella e Ilda Boccassini, puntano i piedi. Prendono carta e penna, e scrivono al procuratore Giovanni Tinebra”. E ha concluso: “Quindi io ho volontariamente abbandonato il gruppo di indagini sulle stragi e non è vero che sono stato “cacciato”, come la Boccassini ha cercato di accreditare in più occasioni negli ultimi 20 anni”.

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