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Giustizia: Albamonte (ex capo Anm) 'Palamara? vicenda non è chiusa, da valutare altre posizioni'

12 gennaio 2021 | 17.31
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"La prospettazione di Palamara come capro espiatorio è una cattiva propaganda che si fa alla magistratura da più parti, spesso tra l'altro nemmeno imparziali. Palamara è stato allontanato da Anm e altri soggetti che erano stati coinvolti si sono dimessi prima che venissero adottati provvedimenti nei loro confronti. Altre azioni sono state adottate dal procuratore generale nei confronti di altri soggetti coinvolti nelle chat, a dimostrazione che l'obiettivo dell'accertamento disciplinare si sta ampliando. La decisione che ha riguardato l'ex collega Luca Palamara è stata solo la prima di una serie di iniziative: dire che nient'altro si sta facendo mi sembra ingeneroso e anche falso. Ci saranno altre posizioni che verranno valutate sia in sede disciplinare sia dall'Anm secondo i parametri del nostro codice etico e secondo anche criteri di commisurazione della sanzione rispetto alla gravità dei comportamenti". Il pm romano Eugenio Albamonte, segretario di Area e in passato presidente dell'Anm, commenta così all'Adnkronos le dichiarazioni dell'attuale presidente dell'associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, su Palamara ma anche sul correntismo, i tempi della giustizia e la sovraesposizione di alcuni togati.

Avvocati e giudici bersagliati, minacciati, "spettacolarizzati". Andiamo per ordine. "L'opinione pubblica - dice Albamonte - a volte anche per la ricostruzione fatta dagli organi di informazione non sempre aderente alla verità processuale, si convince anche in modo emotivo che una persona sia colpevole o innocente e quando poi arriva una sentenza diversa da quella che si aspettava, insorge. La cosa è estremamente preoccupante , soprattutto quando si traduce in atteggiamenti di aspra critica nei confronti dei protagonisti del processo, degli avvocati difensori purtroppo più esposti anche ad aggressioni fisiche, ai pubblici ministeri quali sono io, fino ai giudici che vengono falcidiati spesso con nome e cognome sui social, indicati come produttori di ingiustizia, anzinché di giustizia. Il rischio che si corre è che progressivamente i protagonisti del processo, accusa difesa e giudice, si possano sentire meno liberi di fare quello che dovrebbero, proprio perché temono la censura successiva o addirittura le minacce o la persecuzione vera e propria".

Tanti, troppi secondo alcuni, i magistrati cedevoli alle ospitate nei salotti della televisione: "Uno dei principi di una democrazia evoluta è il fatto che l'azione giudiziaria sia ben spiegata all'opinione pubblica - risponde il pm romano - ma un conto è che il magistrato viene chiamato a parlare di un fenomeno che, in quanto protagonista, conosce e al quale dà un contributo per quello che sa, altro quando il magistrato va a parlare delle sue indagini, magari per difenderle rispetto ad attacchi o, se positive, per propagandarle. Una stortura che tra l'altro non corrisponde neanche al nostro codice etico che prevede un accesso molto accorto ai mezzi di informazione e mai in funzione personalistica".

Ma i magistrati devono o meno rispondere delle proprie "incaute"o errate sentenze? "La responsabilità professionale dei magistrati già c'é, da quando venne fatta la legge voluta dal Partito Radicale, poi modificata sotto il governo Renzi. Dire che i magistrati non rispondono di quanto fanno è una baggianata pazzesca - ribadisce Albamonte - l tema che pone la Camera Penale è che i magistrati rispondano in relazione al fatto che il risultato della loro azione viene convalidato all'interno del processo, il cui esito però può mutare a seconda delle capacità di un difensore, della ritrattazione di un teste o altro".

Quando si tira in ballo l'influenza dell'azione giudiziaria nelle carriere politiche il pensiero va inevitabilmente a Silvio Berlusconi e alla sua "battaglia" per la presunta persecuzione da parte dei togati con una sfilza di inchieste puntuali con le sue mosse politiche. "Nella maggior parte dei casi Berlusconi ha ottenuto delle prescrizioni determinate da leggi che lui stesso ha fatto fare in Parlamento per intervenire sui processi in corso o su altri interventi sulle norme processuali che miratamente volevano intervenire sui procedimenti in corso - ricorda l'ex presidente Anm - A proposito delle carriere politiche più o meno danneggiate dall'azione giudiziaria, negli ultimi anni abbiamo avuto ministri che, pur non essendo stati attinti da alcuna indagine, mi riferisco a Lupi ad esempio, sono stati in qualche modo fatti dimettere in base a dinamiche politiche. Altri ministri come Lotti, che era invece indagato, non è stato fatto dimettere. Non vorrei che le sorti delle carriere politiche dipendessero dalle dinamiche politiche che a volte prendono a strumento una vicenda giudiziaria per silurare il nemico e altre volte invece una vicenda giudiziaria passa inosservata perchè il clima politico è diverso e quel soggetto non lo si vuole estromettere dalla vita politica. Bisogna fare attenzione a quali sono le dinamiche concrete in base alle quali poi una carriera viene o meno interferita da una vicenda giudiziaria".

Il discorso delle correnti all'interno della magistratura, pure tirato in ballo da Santalucia, nasce dall'attitudine umana di qualsiasi soggetto pensante ad aggregarsi secondo caratteristiche di simpatia reciproca, di condivisione di principi e valore, assicura Albamonte. "Non sono nate per inficiare ma per arricchire attraverso la loro elaborazione culturale, la loro riflessione, il loro impegno nel sociale. Negli ultimi anni - sottolinea - però è successo che le associazioni hanno smesso, almeno in parte, di occuparsi di principio, di cultura, di impegno sui temi della giustizia diventando una sorta di associazione di mutuo soccorso e protezione reciproca e questo secondo me dipende dal fatto che hanno perso la loro aggregazione ideale. Così ad esempio nella storia della I Repubblica, quando alcuni partiti hanno perso la spinta ideale, hanno cominciato ad aggregare le persone su logiche clientelari. Così le correnti, chi più chi meno, avendo esaurito la loro spinta ideale e volendo rimanere in campo, hanno deciso di aggregare consenso proponendo una sorta di associazionismo mutualistico per cui se te sei associato ti proteggo, ti aiuto e ti sostengo. Questa roba qua deve sparire".

Allora è vera la storia delle Procure quarto potere? "Il problema che pone Cassese (il costituzionalista Sabino, ndr) è un problema di esercizio di un potere reale, quello di aprire procedimenti, svolgere indagini, mandare a giudizio. Anche l'individuazione della Procura come quarto potere è una stortura del sistema, diversa da quella delle correnti ma ugualmente pericolosa. Se si rafforza il controllo che il giudice deve esercitare sull'azione della procura, secondo me la conseguenza immediata è quella della riduzione dello spazio di visibilità dell'azione di Procura che deve fare le indagini e rinviare a giudizio le persone, ma il fatto che venga esercitato un controllo più approfondito sull'indagine e che i tempi del processo siano più celeri è il miglior antidoto per contrastare la prevalenza del ruolo della Procura che è in realtà nella percezione dell'opinione pubblica".

"Bisogna dare alla giustizia il modo di celebrare in tempi certi e ragionevoli i processi - incalza Albamonte - Per fare questo bisogna cambiare forse alcune norme, ma soprattutto mettere soldi sulla giustizia. Siamo in epoca di Recovery fund, l'Europa ci chiede di intervenire sui tempi della giustizia, bisogna venga destinato un segmento importante di spesa nella giustizia. Per le informazioni che girano ci sembra che questo ancora una volta possa essere un risultato mancato, non mi sembra sia previsto un investimento necessario. Purtroppo le nozze coi fichi secchi non si possono fare: la Spagna ha risolto i nostri stessi problemi più di dieci anni fa intervenendo con investimenti strutturali anche sulle infrastrutture tecnologiche oltre che sul personale. Anche la variante dell'edilizia giudiziaria è importante, il fatto di avere più aule permette di fare in simultanea un certo numero di processi".

(di Silvia Mancinelli)

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