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Golpe Borghese, Violante: "Entrarono in armeria Viminale, non erano 'pirla'"

05 dicembre 2020 | 13.10
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Foto Fotogramma
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di Enzo Bonaiuto

Golpisti da oscar magari no, ma neanche degli sprovveduti, coloro che idearono, prepararono e provarono ad attuare quel golpe Borghese che mise in allarme, esattamente mezzo secolo fa, nella notte fra il 7 e l'8 dicembre, l'Italia. In occasione dei 50 anni del tentato golpe Borghese è questa la riflessione che fa con l'AdnKronos Luciano Violante, l'ex presidente della Camera e a quei tempi magistrato impegnato anche sul fronte del terrorismo, esponente di spicco della sinistra italiana e di quel Pci, la cui avanzata elettorale era nel mirino dei golpisti. "Erano riusciti due volte a entrare nell'armeria del ministero dell'Interno: di certo, non erano dei 'pirla'... al di là di come poi andò a finire", osserva.

Violante ricorda che "in quel periodo, nel Paese si respiravano due climi politici opposti. Da un lato, con le grandi riforme approvate tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, il Paese si è civilizzato, basti pensare allo Statuto dei lavoratori, all'apertura degli asili nido, alle lavoratrici madri, alla legge sul divorzio, leggi di enorme importanza molto sostenute a sinistra e molto ostacolate a destra. Tutto ciò fece temere agli ambienti della destra italiana che potesse essere vicino un ribaltamento politico in favore della sinistra, intravedendosi persino la possibilità di un sorpasso elettorale del Pci sulla Dc".

Questo meccanismo, prosegue Violante, "ha attivato due disegni politici opposti. Per un verso, c'era chi pensava che si era andati troppo avanti e che bisognava frenare; dunque, ecco le stragi che colpivano il popolo che aveva dato crescente sostegno alle sinistre oppure le operazioni di tipo golpista. Per un altro verso, c'era chi sosteneva che si era fatto troppo poco, che la sinistra si era imborghesita, che quelle riforme non toccavano la struttura di fondo; ed ecco il terrorismo rosso, per cui lo Stato non si cambia ma si abbatte. Tutto si innesca nel grande progetto riformatore che in quegli anni ha vissuto il nostro Paese e che ha trovato un pezzo di società e un pezzo di mondo politico del tutto incapace di essere all'altezza di quelle sfide, che anzi temevano".

Per di più, ricorda ancora all'Adnkronos Violante, "l'Italia era inserita in una Alleanza internazionale e militare, la Nato, che la vedeva presente in modo molto subalterno e che considerava un fatto drammatico la possibilità che una sinistra con dentro un forte Partito comunista potesse governare un Paese occidentale come l'Italia. Non a caso, si fece la riforma dei servizi segreti, scindendoli in interni ed esterni, proprio per evitare che ci fosse un condizionamento internazionale sul nostro Paese, oltre a evitare che i servizi di sicurezza fossero nuovamente 'deviati', anche se non si capiva se obbedissero o no a un altro comando. L'impressione che io ebbi, anche occupandomi di questi temi come magistrato, è che ci fosse in questa 'deviazione', piuttosto che una infiltrazione, l'appartenza a un'altra disciplina, contro gli interessi della democrazia italiana".

Quanto alle forze armate, "stiamo attenti a non schiacciarle tutte in un unico recinto. C'erano certamente delle fasce molto alte, non tutte ovviamente, che non erano consenzienti nei confronti di una svolta a sinistra dell'Italia. Basti pensare agli appartenenti alla Loggia P2, che non avrebbero visto di cattivo occhio una soluzione autoritaria per il nostro Paese. Ma attenzione a iscrivere in questo disegno tutte le forze armate, tutti i carabinieri, tutte le forze di sicurezza e di intelligence. In tanti erano assolutamente affidabili e leali alla Repubblica e alla Costituzione".

E il partito allora dominante, la Dc? "Era un partito così grande e complesso che non ci si può mettere sopra un'etichetta. Diciamo - spiega ancora Violante - che proprio in quegli anni, la Dc si accorge di non controllare più tutte le istituzioni, così come il Pci si accorge di non controllare più tutta la società, come erano invece abituati a fare. Sicuramente, la classe dirigente democristiana non perse il suo rapporto e la sua fiducia nelle istituzioni".

Quando al Msi, confinato all'estrema destra parlamentare con i suoi voti 'messi in frigorifero' perché non utilizzabili nella dialettica politica, "c'erano i reduci di Salò e qualcun altro che era schierato con quella parte che tramava contro le istituzioni; ma anche qui, non vanno messi tutti nello stesso calderone e non va neanche escluso che i gruppi dirigenti missini si sentissero in qualche modo ricattati da chi in passato aveva avuto rapporti con loro e poi aveva preso la strada del terrorismo e dello stragismo. Le cose sono sempre più complesse di quel che possono apparire e quel periodo in Italia era davvero particolarmente complicato da decifrare".

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