Marco D'Amore, 'la serie ha segnato la nostra vita' - Salvatore Esposito, 'cresciuto come attore e come uomo'
'Gomorra' al capolinea: siamo al gran finale di una serie tv - dal 19 novembre su Sky e in streaming su Now, per cinque venerdì - che dall'Italia, targata Sky Original e prodotta da Cattleya con Beta Film, ha conquistato il mercato televisivo internazionale di oltre 190 Paesi, partendo dal romanzo di Roberto Saviano edito da Mondadori e arrivando dopo un 'work in progress' lungo 58 episodi distribuiti in cinque stagioni per otto anni, al 'The End' con sicuro rammarico per i telespettatori, malcelato anche dai protagonisti, a cominciare dai due 'eroi' al negativo della serie: Ciro e Genny, ovvero Marco D'Amore - anche nelle vesti di regista di sei episodi su dieci con gli altri quattro diretti da Claudio Cupellini - e Salvatore Esposito, affiancati fra gli altri da Ivana Lotito 'Azzurra', Arturo Muselli 'Enzo Sangue Blu', Mimmo Borrelli 'o Maestrale'.
I due protagonisti, nelle dieci puntate finali girate non solo a Napoli ma anche a Roma e a Riga in Lettonia, con il sottofondo delle musiche dei Mokadelic, torneranno a confrontarsi, "a parlarsi occhi negli occhi, direi naso a naso, per impedire all'altro ogni altra visuale, ogni altra visibilità", spiega lo scrittore Roberto Saviano, presentando con registi, attori e produttori 'Gomorra: la serie - stagione finale' al teatro Brancaccio di Roma. "Il loro è un destino comune, una sfida e allo stesso tempo un rapporto di intimità".
Una serie che, per Marco D'Amore, "indica la pericolosità del filo di un funambolo, affinché nessuno si arrischi a camminarvi sopra". Tutto così semplice? "Niente affatto; anzi: tutto molto difficile e complicato, nulla a che vedere con le cose semplici e facili. Anche per questo motivo, la serie ha segnato la nostra vita e in modo profondo la mia vita, che da quella terra sono scappato quando avevo solo 18 anni", confessa l'attore e regista.
E a 'Ciro' non può che fare eco 'Genny': "Siamo alla fine di un lungo viaggio, frutto di un lavoro collettivo davanti e dietro la macchina da presa, che ha avuto effetti forti su tutti noi; un viaggio faticoso - ammette Salvatore Esposito - che mi ha fatto crescere non solo come artista ma anche come uomo. Ora, giunti alla fine, è come quando finisce una relazione: si sente malinconia, si prova tristezza, ma si avverte anche la consapevolezza di ciò che si è dato e si è ricevuto".
(di Enzo Bonaiuto)