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Gori: "Commessi errori, su zona rossa non facile accertare responsabilità"

13 giugno 2020 | 10.14
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(Fotogramma)
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"Chiamavo Roma. E da Roma rispondevano: tra poco si chiude, fra qualche ora si chiude, forse domani. Neanche loro sapevano. Insomma: la decisione di istituire la zona rossa poteva essere presa sia dalla regione sia dal governo. Non credo sarà facile accertare le responsabilità". Lo ha detto il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, in un'intervista a 'La Stampa' in merito alla mancata istituzione della zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo sulla quale la Procura di Bergamo ha aperto un'inchiesta.

In quei giorni, sottolinea Gori, "bisognava prendere una decisione. Ne abbiamo parlato in videochiamata con il governatore Fontana. Ci disse: 'Ho interpellato i miei esperti, tocca al governo istituire la zona rossa'. In Emilia Romagna, nel Lazio e in Campania sono state istituite però zone rosse per decisione regionale. Fontana quindi aveva la facoltà di chiudere".

Secondo Gori, sono stati commessi diversi errori. "Il primo contagio - sottolinea - è del 23 febbraio. Eravamo zona gialla. Ristoranti e bar aperti. Non erano soltanto gli amministratori lombardi a dire quelle cose. Ricordo Roberto Burioni in televisione spiegare che prendeva le stesse precauzioni di una normale influenza. Ricordo Ferruccio De Bortoli invitare ad uscire: 'Bevete un caffè, fate una passeggiata'. Eravamo convinti tutti - tutti - che il virus potesse passare nel giro di poche settimane senza stravolgere le nostre vite. È un'assoluta ammissione di errore da parte mia. Sicuramente ho sbagliato. Mi dispaccio di aver sbagliato. Avrei voluto dare un messaggio più utile".

Quindi prosegue: "Il paziente zero di Codogno in realtà non lo era. C'erano già stati centinaia o forse migliaia di malati fra l'inizio dell'anno e febbraio. Bergamo ha molti contatti con la Cina. Il virus ha viaggiato sotto il pelo dell'acqua senza essere riconosciuto. Quando lo abbiamo scoperto, era troppo tardi. E poi abbiamo perso altro tempo. Commettendo anche errori. Come chiudere e riaprire l'ospedale di Alzano. E in tutto questo, la partita dell'Atalanta contro il Valencia a Milano è stato un acceleratore. Anche io, quella sera, ero in tribuna con mio figlio: non sapevamo".

Il primo cittadino di Bergamo nega poi di aver ricevuto pressioni degli industriali affinché la Val Serriana non diventasse zona rossa. "In quei giorni ho parlato con il direttore generale di Confindustria di Bergamo, ed era favorevole all'opzione della chiusura - rimarca -. Ho parlato anche con un imprenditore, preoccupato per il fatto che tutto il mondo continuasse a produrre mentre solo loro dovevano fermare il lavoro. Ho trovato persone con dei dubbi. Nessuno che stava tramando operazioni di lobbying".

"In quel momento - fa notare - anche un giorno contava. Poteva fare la differenza. Però tutti ci concentriamo sulla mancata zona rossa, molto meno su quei due mesi o forse tre in cui il virus era già fra noi. C'era la coda di pazienti con la polmonite. Il governo aveva istituito la prima task force il 22 gennaio. Mi stupisce che questo aspetto venga poco indagato".

Quanto al numero di persone che hanno avuto davvero il Covid-19 a Bergamo, "noi stimiamo fra il il 35 e il 45% della popolazione - spiega Gori -. Per saperlo con maggiore certezza ho cercato risorse dai privati per poter fare un test a tutti i miei concittadini. Lo screening partirà lunedì. Il tampone entro 6 giorni. Se non lo fa la Regione ci organizziamo da soli".

E sui morti fa sapere: "A Bergamo dal primo marzo a fine maggio sono morte 670 persone in più della media dei 10 anni precedenti. In tutta la provincia: 6 mila in più. Quindi, le vittime del Covid qui sono più del doppio di quelle comunicate dalla Regione Lombardia. È allucinante". Questo, sottolinea "credo solo per inadeguatezza organizzativa. Anche se a volte sospetto che ci sia qualcosa di più, visto che quando abbiamo sollevato il tema dei dati, loro hanno oscurato le fonti".

Commissariare la Lombardia? "Quando se ne è parlato, io ho ritenuto che non fosse una buona idea. Eravamo nel pieno disastro. Quella decisione avrebbe destabilizzato il poco che si stava facendo. Ma adesso, con la situazione più gestibile, fare autocritica è necessario. Il cambio del direttore generale della sanità lombarda mi sembra un segnale eloquente" dice Gori. Nessuna invidia, spiega, nei confronti del governatore Attilio Fontana, perché, se Gori avesse vinto le regionali, ora sarebbe al suo posto. "Non lo invidio, non l'ho invidiato - rimarca -. Sarebbe stato molto complicato anche per me".

Quindi fa notare che durante l'emergenza, "il Veneto ha risolto comprando macchinari, producendo reagenti. Ecco: che la Lombardia non abbia trovato soluzioni è abbastanza sconcertante". Poi, replicando a chi gli chiede se abbia avuto paura, Gori spiega: "Ho avuto mal di gola per un mese, non so fosse Covid, non ho fatto ancora nessun test. Ma ho sempre lavorato, tutti i giorni in Municipio".

Adesso che siamo nella Fase 3, a preoccuparlo è "il rischio di essere ondivaghi. Cioè: poco chiari e poco efficaci. Dobbiamo decidere come funzioneranno le scuole a settembre, organizzare il trasporto pubblico locale. Non si può cambiare rotta ogni cinque minuti. E poi temo moltissimo quello che accadrà in autunno. Non abbiamo ancora visto i licenziamenti".

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