
Per il docente dell'Università Luiss anche per l'Ucraina all'inizio ha seguito "l'impostazione dell'equilibrio delle potenze e delle sfere di influenza", ma poi ha avuto un'evoluzione basata sulla lettura della situazione.
Nel 1954 Henry Kissinger discute la tesi di dottorato ad Harvard sul Congresso di Vienna e "l'equilibrio delle potenze, la ricerca dell'ordine, che è poi la cifra di gran parte del suo lavoro, quel modello gli rimane in mente". Così Gregory Alegi, docente di Storia e Politica degli Stati Uniti all'Università Luiss di Roma, spiega all'Adnkronos come l'intero, lunghissimo arco della carriera del "grande saggio, grande vecchio, memoria storica della politica estera americana", che il prossimo sabato compie 100 anni, possa essere interpretato alla luce dei principi che, trentenne, analizzò per la sua tesi di dottorato sull'ordine europeo post napoleonico.
Anche la posizione assunta dall'ex segretario di Stato sul conflitto in Ucraina "rientra nell'impostazione da congresso di Vienna, nell'impostazione di equilibrio delle potenze", continua Alegi ricordando che all'inizio Kissinger ha dato "una lettura pragmatica che riconosceva degli spazi alla Russia ma che poi nel tempo ha cambiato idea", passando dal propugnare la neutralità di Kiev, o proporre dopo l'invasione russa di arrivare ad un cessate il fuoco anche a costo di rinunce territoriali, a sostenere invece l'ingresso dell'Ucraina nella Nato.
Per Alegi la posizione iniziale di Kissinger era "in fondo, seppur in maniera non violenta e aggressiva, abbastanza vicina alla visione russa perché riconosce in qualche modo uno status ed una sfera di influenza alla Russia come continuatore dell'Urss: da questo punto di vista sono cambiati gli stati, ma in realtà lui continua a portare avanti la sua visione degli anni d'oro".
E se in questo lo statista centenario si è mostrato come "una persona di una certa età, rimasta attaccata agli schemi del suo tempo", Alegi sottolinea però come l'evoluzione della posizione di Kissinger "dimostra la capacità di seguire gli scenari contemporanei, il graduale prendere atto che quel disegno forse non è realistico nel mondo di oggi, che oggi riconoscere a Putin un'influenza, un diritto di veto non è più realistico".
Quella di Kissinger è "una capacità di lettura, di analisi della situazione di oggi e non applicazione di un paradigma già deciso in precedenza", conclude lo storico, sottolineando però che "non si può escludere" che "la sua frequentazione di ambienti governativi diplomatici americani lo abbia portato a prendere una posizione più funzionale".
Riguardo poi alla "lunga e prestigiosa carriera" di Kissinger, prima ufficialmente al fianco dei presidenti Nixon e Ford e poi consigliere informale di tutti i successivi, per Alegi il "capolavoro politico" è "quello post Vietnam, quando concepisce di bilanciare l'immagine della sconfitta della guerra nel Vietnam con l'apertura alla Cina". "Aprì un nuovo fronte che in qualche modo destabilizza il tradizionale concorrente sovietico e apre delle possibilità nuove per la politica estera americana", aggiunge, sottolineando come "l'avvicinamento alla Cina che porta gli Stati Uniti a riconoscere la Cina comunista come legale rappresentante, scaricando Taiwan", abbia conseguenze ancora oggi "con il ruolo cinese nell'ordine mondiale e i timori per l'indipendenza di Taiwan".
Riguardo poi alle critiche, proteste e polemiche che la figura di Kissinger, accusato di aver sostenuto dittatori e guerre in tutto il mondo, per lo storico "il suo ruolo di anima nera è frutto della leggenda che è una proiezione negativa del riconoscimento delle sue effettive capacità, si ipotizza per lui onnipotenza, onniscienza forse in maniera esagerata, pur avendo delle responsabilità anche storicamente dimostrate come nel caso del Cile".
Infine c'è da chiedersi quanto le analisi del centenario Kissinger siano "applicabili nel mondo di oggi", conclude Alegi, ricordando che il suo "iper pragmatismo, iper realismo che diventa spregiudicatezza è in fondo una soluzione da tecnici che tiene conto del realismo dei rapporti internazionali, ma non del clima ideologico interno" che in questo momento storico è intriso di populismo.
"Non è un caso che con tutta la sua intelligenza, la stima di cui godeva Kissinger non si sia mai presentato ad una carica elettiva - conclude - perché il suo ruolo è quello del consigliere del re, non di candidato politico, le sue idee fanno leva sulla bontà tecnica non sull'accettabilità da parte dell'elettorato".