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Iavarone: "Cure a misura non solo di Dna ma di metabolismo del cancro"

03 gennaio 2018 | 20.04
LETTURA: 7 minuti

Antonio Iavarone, scienziato italiano in forze alla Columbia University di New York
Antonio Iavarone, scienziato italiano in forze alla Columbia University di New York

Quando nel 2012 i due scienziati italiani emigrati negli Usa, Antonio Iavarone e Anna Lasorella, identificarono la fusione dei due geni Fgfr3 e Tacc3 come causa del 3% dei casi di glioblastoma , aggressivo tumore cerebrale, la loro scoperta rimbalzò sui media di tutto il mondo e i loro risultati vennero inseriti dalla rivista 'Discover' tra le prime 40 'top story' più importanti di quell'anno. Da allora molta strada è stata percorsa sulla via delle cure personalizzate contro il cancro.

Cure ritagliate su misura in base alle alterazioni genetiche responsabili della malattia, di quel tumore in quel preciso paziente. Ma adesso si aggiunge un nuovo tassello: "Si aprono le porte a un livello diverso di personalizzazione - spiega Iavarone all'AdnKronos Salute - Con lo studio pubblicato su 'Nature' siamo riusciti a capire come un'alterazione genetica molto potente che causa il cancro si lega direttamente all'attivazione di un particolare tipo di metabolismo, necessario alla sopravvivenza di quel particolare tumore portatore della fusione genica. Si introduce così un nuovo concetto: quello di 'metabolismo personalizzato'", che potrà avere "un'implicazione terapeutica nuova". Un bersaglio da aggiungere nel mirino, per colpire un meccanismo vitale per il cancro all'inizio e alla fine della cascata di eventi che si innesca.

Gli esperti hanno descritto il meccanismo innescato dalla fusione dei due geni Fgfr3 e Tacc3, "alterazione genetica molto potente. Si parla in questo caso di geni 'driver', e si può dire che 'drogano' le cellule cancerose che sono dipendenti dalla potenza della fusione genica per poter sopravvivere, moltiplicarsi e diffondersi". Colpire efficacemente questo meccanismo significherebbe dunque 'spegnere' i motori del cancro.

La strategia che si profila è quella di "colpire non solo la fusione genica, ma anche la sua funzione, per bloccare il metabolismo energetico risultato cruciale per la sopravvivenza delle cellule tumorali". Mirare quindi anche ai 'rifornimenti di carburante' per fermare il motore. "E' quello che abbiamo sperimentato in laboratorio sui topi ed è quello che speriamo di fare con i pazienti, integrando nel toolkit farmaci che bloccano il metabolismo mitocondriale", in aggiunta a 'targeted drug' che mirano direttamente all'attività enzimatica della fusione genica.

"Il prossimo passo a livello clinico", continua lo scienziato di Benevento in forze alla Columbia University of New York (Department of Neurology and Institute for Cancer Genetics), sarebbe dunque un doppio attacco, "l'integrazione di inibitori classici e inibitori mitocondriali per aumentare l'efficacia delle terapie e avere la possibilità di agire a due livelli diversi dello stesso percorso". Il lavoro firmato su 'Nature' dal team della Columbia University, "è il primo studio di connessione tra caratteristiche genetiche e metaboliche", chiarisce Iavarone. Gli esperti hanno fatto ricorso a strumenti sofisticati, dall'analisi dei 'big data' dei tumori a una serie di tecnologie (proteomiche, metaboliche e così via) fino allo studio su modelli animali vari, dalla drosophila (moscerino della frutta) ai topi.

"La comprensione di questo fenotipo metabolico è entusiasmante perché ci fa capire come delle alterazioni genetiche possano essere responsabili di perturbazioni molto severe a livello metabolico delle cellule", osserva il cervello tricolore. "E poiché in studi successivi la fusione genica da noi inizialmente identificata è stata scoperta nella grande maggioranza dei tumori umani, seppur in percentuali basse, questo significa che mettendo insieme i casi si arriva a un numero significativo di pazienti interessati. Ora noi stimiamo che almeno 12 mila malati l'anno con vari tipi di tumori maligni negli Usa abbiano questa stessa fusione genica e siano dunque potenzialmente trattabili con farmaci che vanno a bloccarla". E' la logica dei cosiddetti 'basket trial', che hanno portato "un cambiamento radicale nel modo di trattare i tumori".

"Se oggi abbiamo un protocollo per il tumore al seno, uno per il cancro al polmone e così via, la possibilità di analizzare a livello genetico le neoplasie ci ha permesso di osservare come tumori diversi che colpiscono organi diversi possono avere le stesse alterazioni genetiche ed essere quindi trattati allo stesso modo. Da questo punto di vista conta più quello che c'è dentro il tumore, le sue caratteristiche molecolari, piuttosto che l'organo colpito - conclude Iavarone - Dopo aver inquadrato il legame fra la fusione genica Fgfr3-Tacc3 e l'attivazione del metabolismo mitocondriale, si potrebbe arrivare anche a scoprire che altri tipi di alterazioni genetiche potrebbero funzionare allo stesso modo e allargare a queste il campo di utilizzo di simili strategie terapeutiche".

Nell'era dei nuovi scenari aperti dai 'big data' e della 'contaminazione' fra settori scientifici apparentemente distanti ma uniti dal lavoro di squadra, "in Italia c'è una criticità pratica, un problema che riguarda l'intera Penisola: non ci sono maxi centri di ricerca internazionali, di grande attrazione" per i cervelli migliori, riflette Iavarone.

"Oggi possiamo fare tantissimo sul fronte della ricerca sui tumori, purtroppo molto raramente viene messo a disposizione dei malati", osserva evidenziando la necessità di 'infrastrutture' "che permettano di fornire ai pazienti le ultime tecnologie sviluppate per esempio per un'analisi accurata della neoplasia. Il problema è prima di tutto che ogni tumore deve essere conservato in maniera appropriata, possibilmente attraverso congelamento in sala operatoria, e inserito in apposite banche. E' il primo step. Poi, quanto più lo studi tanto migliori la possibilità di previsioni terapeutiche personalizzate". In alcuni casi servono, continua lo scienziato, "analisi molecolari approfondite".

Un elemento che può dare una grossa spinta alla ricerca oggi è "l'analisi dei big data". Altro aspetto fondamentale per cure sempre più personalizzate "è la costruzione di modelli cellulari e animali del tumore di un determinato paziente. Tumore che prima deve essere studiato a livello molecolare, genetico, bioinformatico. E dopo si può provare a prevedere quale farmaco può funzionare". Con strategie come "i 'personalized drug screening' si possono testare eventuali trattamenti nelle cellule tumorali del paziente, costruendo dei cosiddetti 'avatar' di quello specifico tumore umano nel topo".

Oggi, per esempio negli States, "si sono persino diffuse compagnie 'for profit' che offrono a decine di migliaia di dollari la creazione di 'avatar' del tumore per provare farmaci e cercare terapie su misura. E' diventato un business e certamente quelli più avventurosi non portano molto. Il punto sarebbe invece avere tecnologie avanzate a disposizione, ma c'è un problema notevole di costi e risorse necessarie. Avere, insomma, grandi centri di ricerca, dove convogliare esperienze, capacità e le conoscenze più recenti".

In Italia qualcosa di simile "non c'è quasi mai". Lo Human Technopole, futuro polo destinato a sorgere nell'ex area Expo a Milano, "è una grande speranza. Ma in questo momento non c'è stato il coinvolgimento a monte della comunità scientifica internazionale, di persone con ruoli di prestigio e lunga esperienza nei 'big data'. Magari ci sarà più avanti. Io e altri colleghi, per esempio, saremmo felici di dare un contributo, ma è necessario che si realizzi un'apertura al mondo internazionale della ricerca. Il fattore tempo, poi, è fondamentale. E spero che non finisca male come altri progetti".

Seguendo la filosofia della medicina di precisione, "ogni paziente è un progetto", conclude Iavarone. "Avere un team multidisciplinare di 20 persone che lo studia non è fantascienza. Non è una 'mission impossible'".

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