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Iraq, trattative segrete per scegliere i successori di al-Maliki

20 giugno 2014 | 16.06
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Alla luce della crisi, esplosa nel Paese, il premier sarebbe ormai sgradito anche agli Stati Uniti. Tre i nomi emersi per la carica di primo ministro, tutti e tre appartenenti ai partiti della maggioranza sciita che hanno vinto le ultime elezioni. Si tratta di Abdul Mahdi, Ahmed Chalabi e Bayan Jaber

Al-Maliki. Infophoto - INFOPHOTO
Al-Maliki. Infophoto - INFOPHOTO

Sono in corso da giorni in Iraq colloqui e negoziati per individuare un possibile sostituto del premier Nuri al-Maliki, che alla luce della crisi, esplosa nel Paese, sarebbe ormai sgradito anche agli Stati Uniti. Nei discorsi pronunciati di recente, il presidente Barack Obama non si è mai espresso contro il premier sciita, ma non gli ha neanche espresso il suo sostegno e anzi ha parlato della necessità di una leadership, capace di tenere insieme tutte le anime del Paese. L’accusa che le minoranze dell’Iraq, in particolare quella sunnita e quella curda, rivolgono a Maliki, è proprio quella di aver attuato politiche settarie che hanno spaccato il Paese, favorendo l’avanzata dei jihadisti sunniti nel nord. Fonti concordanti citate dal New York Times sostengono che nell’ultima settimana funzionari americani hanno avuto riunioni in Iraq con alcuni leader politici locali, durante le quali è emersa la chiara richiesta degli Usa di un cambio ai vertici del governo.

I favoriti. Tre sono i nomi emersi finora per la carica di premier, tutti e tre appartenenti ai partiti della maggioranza sciita che hanno vinto le ultime elezioni: Abdul Mahdi, Ahmed Chalabi e Bayan Jaber. Ad accomunare le due minoranze, la certezza che queste richieste non possano essere soddisfatte da Maliki. Tra i tre possibili candidati alla successione del premier, Mahdi ha già sfiorato nel 2006 la conquista della poltrona di premier, dopo aver ricoperto la carica di vice presidente. Figura più controversa quella di Chalabi, che a fasi alterne ha affascinato e irritato gli Usa, ha avuto un ruolo chiave nel dossier sulle armi ‘proibite’ di Saddam Hussein che ha dato il semaforo verde all’occupazione americana ed è considerato molto vicino all’Iran. Chalabi è, inoltre, un fervente sostenitore della de-baathizzazione, cioé della ‘purga’ incondizionata dei sunniti vicini al partito Baath di Saddam dalle istituzioni nazionali. Jaber, infine, è stato ministro degli Interni nel governo di transizione e, successivamente, ministro delle Finanze. Anche la sua figura è controversa, perché è accusato di aver permesso torture e maltrattamenti in carcere quando era agli Interni. Altre figure, seppur con ‘quotazioni’ minori, sono emerse nei colloqui di questi giorni, che non hanno ancora portato a un’intesa.

Le attese. A chi tra loro sarà scelto si chiede di riuscire a far fronte all’avanzata dei jihadisti sunniti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) e di tenere unito il Paese, guadagnando la fiducia di curdi e sunniti. Da Baghdad, i primi si aspettano di ottenere l’annessione della città di Kirkuk, ricca di petrolio, nella loro regione autonoma, oltre alla possibilità di vendere il loro greggio senza dover aspettare il via libera del governo centrale. I secondi si aspettano l’assegnazione di almeno un ministero tra Interni e Difesa e di un altro ministero importante, come Istruzione o Istruzione superiore.

Al-Maliki e le elezioni. Il premier è tutt’altro che intenzionato a lasciare. Conta sul successo avuto alle elezioni di aprile, che tuttavia non gli hanno consegnato una maggioranza che gli consenta di governare senza alleanze. Dispone infatti di 92 seggi su 328 e per governare deve metterne insieme 165. Un’impresa non facile, visto che anche molti suoi ex alleati gli stanno cominciando a voltare le spalle. “Non ha diritto a governare per una terza volta - ha detto di recente Dhiaa al-Asadi, tra i leader del blocco sciita Ahrar, alleato dell’influente imam Moktada al-Sadr -. Siamo sicuri di poter mettere fuori gioco Maliki attraverso le disposizioni della Costituzione”.

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