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'Il cane di Falcone', a 30 anni da strage Capaci un romanzo dove uomini e bestie parlano di criminalità e giustizia a Palermo

02 giugno 2022 | 18.27
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Appena uscito il libro di Dario Levantino per Fazi editore, che mescola cronaca e narrativa

Uccio è il cane che vegliava la statua di Falcone a Palermo.
Uccio è il cane che vegliava la statua di Falcone a Palermo.

Un uomo e un cane che parlano di bene e di male, di criminalità e giustizia a Palermo: sono Uccio, un randagio veggente, ultimo tra gli ultimi, e un giudice solitario, Giovanni Falcone, nel romanzo di Dario Levantino, appena pubblicato da Fazi Editore a 30 anni dalla strage di Capaci. L'autore ripercorre una delle pagine più buie della nostra storia con un racconto sull'eccidio del 23 maggio 1992 e sulla figura del magistrato palermitano, narrate attraverso gli occhi di un cane.

Un libro per ragazzi che, con leggerezza e senza toni retorici, affronta un tema difficile, facendo emergere il valore del coraggio e la forza delle idee che sopravvivono alla morte. Il libro è ispirato a un animale realmente esistito, Uccio, che sembrava vegliare la statua del giudice sdraiato ai suoi piedi, soprannominato "il cane di Falcone" dai magistrati del Tribunale di Palermo.

"E' un racconto su Palermo -spiega Maria Falcone, che ne firma la prefazione- una città in cui l’amicizia, la viltà, il coraggio, il Bene e il Male non conoscono toni minori. Soltanto a Palermo Uccio può diventare confidente e amico di un eroe solo. In una città cupa, scossa dalle bombe e sporca del sangue di pochi valorosi, Uccio e Giovanni Falcone diventano inseparabili. Un rapporto vero tra due solitudini che si riconoscono e si scelgono, una vicenda tenera e disarmante, che ci mostra miserie e virtù e ci parla dell’amicizia".

Il randagio "ha vissuto sulla propria carne la crudeltà e l’umiliazione -sottolinea la sorella del magistrato assassinato- e trema davanti ai soprusi e alla violenza, mentre l'uomo, nel ribellarsi alla prepotenza mafiosa, ha conosciuto invidie, tradimenti e 'corvi'".

Levantino non vive più a Palermo, ma "la porta nel cuore e la racconta come solo un palermitano sa fare. Con l’amore e l’odio, con l’orgoglio e con la riprovazione del figlio che ha lasciato la sua casa senza mai andarsene davvero, e con la conoscenza profonda di chi ha provato a capire e perdonare le contraddizioni della sua terra".

Tra l’amore sfortunato del cane per Kelly e "la poetica e mostruosa Palermo", compaiono il Maxiprocesso, i morti ammazzati, Tommaso Buscetta, il Palazzo dei veleni. Insomma "la vita di mio fratello e della sua città. La mafia raccontata in modo originale e mai retorico, è sullo sfondo, presenza costante e dolorosa, mai però invincibile", conclude Maria Falcone. Lo scrittore infatti ci insegna che "affrontare i propri mostri e sconfiggerli è molto più facile di ciò che temiamo". (di Rossella Guadagnini)

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