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La storia

"Il fango ha ucciso mio padre"

11 novembre 2018 | 16.09
LETTURA: 3 minuti

Immagine di repertorio (Fotogramma)
Immagine di repertorio (Fotogramma)

Daniele aveva 8 anni quando il fango ha inghiottito suo padre Roberto e la sua infanzia. Venti anni dopo vive ancora a Siano vicino a quella montagna che il 5 maggio 1998 franando - complici le piogge abbondanti - investì case e persone: 160 le vittime, Sarno pagò il bilancio più alto con 137 bare. Anche i comuni di Quindici e Bracigliano furono travolti dai due milioni di metri cubi di melma.

L'Italia, da Nord a Sud, ancora oggi fa i conti con le vittime del maltempo - 37 morti nell'ultimo mese - ma a chi ora teme di non avere più nulla, Daniele vuole dare speranza. "Mi addolora vedere quelle immagini di case inondate di acqua e fango, di persone disperate per aver perso l'abitazione o un parente - racconta all'Adnkronos -. Ero piccolo quando è successo tutto, avevo solo 8 anni e ci è voluto tempo per percepire pienamente la gravità di quanto successo. Rassegnarsi a non aver più un padre è stata una delle cose più difficili da accettare, per tutto il resto voglio dire a chi adesso è in ginocchio che c'è sempre una soluzione".

Roberto Bevini aveva 48 anni e faceva l'operaio quando è morto. Ha portato in salvo la moglie e i due figli, ma un ultimo disperato tentativo di strappare al fango le cose della sua famiglia gli è costato la vita. "In tre ore la mia vita è cambiata: quella montagna si è portata via la mia casa, con regolare progetto, e mio padre. Non incolpo nessuno, mio padre era solo nel posto sbagliato. Impari ad accettarlo dopo un po', ammetto che quando si avvicina quella data, il 5 maggio, percepisco di sentirmi diverso", dice Daniele, cresciuto troppo in fretta tra qualche rinuncia e il desiderio di aiutare il prossimo.

Lavora in un supermercato, è volontario della protezione civile Croce Azzurra di Siano, appassionato di calcio e di Formula 1, ammette che "subito dopo la catastrofe è stato difficile ricominciare. La pioggia all'inizio mi faceva paura, ora non più. Mia mamma non si è mai scoraggiata e la fede mi hanno aiutato, ma in casa anche dopo 20 anni è difficile parlare di quello che è successo". Ancora adesso, secondo gli esperti, quella montagna dell'Agro Nocerino-Sarnese potrebbe tornare ad uccidere tra abusivismo, incuria e poca prevenzione.

"Manca il senso civico, c'è un'assoluta mancanza di rispetto per l'ambiente. Non è la montagna che uccide, è quello che noi facciamo alla natura la causa", ammette il 28enne che dietro a uno sguardo sicuro e fiero cerca di nascondere un dolore che non lo lascia. "Lo Stato ci ha aiutato e posso solo ringraziare. Abbiamo ricevuto aiuto da tutti quelli che conoscevamo, e come testimoni di Geova la comunità ci è stata accanto. Io spero - conclude Daniele Bevini - che anche adesso nessuno, da Nord a Sud, venga lasciato solo".

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