Riduzione delle quote detenute nelle banche; diversificazione del patrimonio; divieto di ricorrere al debito per sottoscrivere aumenti di capitale e stop ai derivati; maggiore trasparenza nei bilanci. Resti: "Buona gestione e trasparenza ma niente decreti"
Graduale riduzione delle quote detenute nelle banche; diversificazione del patrimonio; divieto di ricorrere al debito per sottoscrivere aumenti di capitale e stop alla finanza più rischiosa, a partire dai derivati; maggiore trasparenza nei bilanci. Le nuove norme sulle Fondazioni di origine bancaria, che potrebbero essere esaminate già dal prossimo Cdm, secondo quanto risulta all'Adnkronos, sono sostanzialmente in linea con i pilastri dell'autoriforma che gli enti hanno avviato negli ultimi anni e che è stata alla base del lavoro svolto negli ultimi mesi al Tesoro dal gruppo coordinato dal Capo di Gabinetto, Roberto Garofoli.
Il provvedimento che il Governo si appresta a varare punta ad accelerare il processo di riforma, ponendo criteri più stringenti e scadenze più puntuali. L'obiettivo di fondo è quello di allentare il legame tra fondazioni e banche per riuscire, nonostante il ritardo accumulato, ad arrivare a un sostanziale rispetto della legge Ciampi-Amato che nell'ormai lontano 1990 imponeva un progressivo disimpegno dal capitale delle banche. Già la Carta delle Fondazioni del 2012, del resto, tracciava la strada. Prescriveva infatti l'impegno per gli Enti "a bilanciare i flussi di rendimento a breve e a lungo termine, ad adottare accorte politiche di assunzione e di gestione dei rischi".
Un indirizzo che oggi si traduce in norme più circostanziate. Dovrebbe essere indicato un tetto alla quota di patrimonio che può essere investita nelle banche, così come dovrebbe essere indicata una scadenza per regolarizzare le posizioni delle singole Fondazioni, che cederebbero le quote in eccesso detenute nelle banche attraverso l'utilizzo di strumenti finanziari ad hoc. Allo stesso modo, sarebbe indicato esplicitamente il divieto di ricorrere all'indebitamento per sostenere eventuali aumenti di capitale delle banche partecipate. L'obiettivo, in questo caso, è quello di scongiurare casi come quelli di Mps e Carige, che hanno portato le fondazioni coinvolte in gravi difficoltà finanziarie. In linea con questa esigenza, la prescrizione che impedirebbe il ricorso agli strumenti finanziari complessi, come i derivati.