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L'analisi

Il lockdown fa volare il web. O no?

22 maggio 2020 | 14.13
LETTURA: 6 minuti

Agostinelli (Iab Italia) all'Adnkronos: "La nostra editoria vede progressivamente prosciugarsi il bacino della pubblicità online. E sui dati Audiweb diverse contraddizioni"

Aldo Agostinelli, vice presidente di Iab Italia
Aldo Agostinelli, vice presidente di Iab Italia

Tutti connessi, tutti online. Il lockdown tra marzo e aprile ha sconvolto la vita degli italiani e, come effetto collaterale, ha prodotto una generale trasformazione di massa dei cittadini da individui a utenti. Un popolo proiettato sul web con lo smartphone tra le mani e il vecchio pc di casa riscoperto improvvisamente. Risultato? Volumi di traffico mai visti, valanghe di accessi. Il digitale, anche in tempi di pandemia, si conferma quindi un settore dalle grandi potenzialità per l'economia italiana. E non è un caso se nel 2019 la pubblicità on line ha fatto segnare una crescita di circa il 9% rispetto all'anno precedente, raggiungendo i 3,3 miliardi di euro.

Per il digital advertising il 2020 doveva essere l'anno del boom. Ma se da un lato il lockdown ha popolato ancora di più l'universo del web, allargando ulteriormente la sua già vasta platea di fruitori, da un altro la crisi innescata dalla pandemia ha imposto una brusca frenata a un mercato come quello dell'editoria digitale dove è sempre più difficile orientarsi e dove a beneficiare della crescita sono soprattutto i grandi player internazionali, a discapito delle aziende italiane. Ma come fare per invertire questo trend? Come dare nuovo impulso alla crescita di un settore così strategico? E ancora, cosa possono fare le istituzioni per aiutarlo a ripartire?

Il vice presidente di Iab Italia, Aldo Agostinelli**, interpellato dall'Adnkronos su questi e altri temi, parte da un assunto e da un problema: "L'affidabilità delle informazioni è l’elemento cardine utile a garantire agli investitori il principio fondamentale della trasparenza. Purtroppo, però, va detto che attualmente solo la parte più debole dell’industria della pubblicità, ossia il mondo dell'editoria italiana, cerca di attenervisi. Giorno dopo giorno la nostra editoria vede progressivamente prosciugarsi il bacino della pubblicità online su cui fondava parte del suo business. E con grande fatica si ritrova a lottare per mantenere un livello di qualità alto per la propria audience, ossia per gli utenti".

A Iab Italia si rivolgono editori, concessionari, investitori, web agency, istituti di ricerca, aziende che operano o intendono operare su internet. Quanto è alta l'attenzione di queste categorie sulla digital audience e quanto questa influisce sulle strategie di mercato?

"Oggi giorno i dati sono fondamentali non solo per l’editoria digitale ma per qualunque settore on e offline. Servono a ottimizzare i budget e a decidere su quali canali pubblicitari investire. Se i dati sono errati o falsati, salta tutto. Per questo è importante la loro certificazione. Purtroppo il mercato digitale è spesso viziato dai risultati ottenuti con gli OTT (Over-The- Top). Si tratta di applicazioni pubblicitarie, in gran parte video, vendute tramite concessionarie. Tali concessionarie, il cui mercato è spartito e per il 75% è in mano agli OTT, parlano al mercato globale, operano al di sopra della rete, non detengono una propria infrastruttura e hanno organici ridottissimi, quindi non devono sostenere né costi né spese di gestione. La questione è che gli OTT sono al di fuori di qualsiasi tipologia di certificazione italiana. Si crea quindi una distorsione dei dati; una inaffidabilità che viene ancora più amplificata quando i dati di chi svolge questa attività sono instabili. L’uniformità della misurazione dei dati e quindi la loro comparabilità in maniera attendibile, rappresenta una questione fondamentale. Per tale motivo IAB, di cui sono Vice Presidente per l’Italia, da sempre si batte per il consolidamento di una misurazione eseguita secondo modalità certe, che consentano di confrontare il web con il resto degli OTT".

L'estate scorsa Agcom ha posto dei rilievi in merito alla metodologia Audiweb 2.0 (l’ultima metodologia di misurazione delle performance web attivata dal consorzio Audiweb) sollevando perplessità sulla collaborazione con Nielsen e Facebook, che è un diretto concorrente degli editori nella raccolta pubblicitaria e che non viene misurato.

"Perché significa che i sistemi di misurazione sono stati presi male, sono stati falsati oppure sono errati e non attendibili. E i conti (la comparazione) alla fine non tornano o, meglio ancora, non combaciano. Su Audiweb, ci sono categorie che risultano avere più utenti web italiani che cittadini. Saltano all’occhio con molta facilità una serie di contraddizioni. Nelle fasce d'età 18-24 anni e 35-44 anni, per esempio, è riportato un numero di utenti online più alto rispetto al numero di persone censite nelle tavole Istat (demo.istat.it) riferite alla popolazione italiana 2019. In particolare nella fascia 35-44 anni sono rilevati 460mila individui online, pari al 6% in più rispetto al dato Istat. Un paradosso: abbiamo più utenti che italiani! Inoltre, restando sempre in questa fasce d’età, la penetrazione di internet è indicata prossima al 99%. Vuol dire che tutti sono su internet, compresi malati, carcerati e pure chi abita in zone senza connessione. La questione evidente è che quando si fanno elaborazioni dei dati, prima di procedere con la compilazione di tabelle comparative dai risultati improbabili, è bene valutare sempre il peso e l’attendibilità dei dati stessi e delle fonti da cui provengono. Vi è poi la questione del tempo speso: Audiweb segnala una crescita del 14%, quando tutti i maggiori player segnalano invece, da misurazioni interne, crescite esponenziali".

AgCom ha anche acceso i riflettori sulla non completa coerenza delle misurazioni. Il tema torna d’attualità a marzo 2020, mesi di record e -pure- di misteri.

"Oggi più che mai deve intervenire il legislatore per obbligare a una certificazione comune ed esterna dei dati, o la crisi economica sarà peggiore per le aziende. La problematica dell’attendibilità e della comparabilità dei dati è annosa. Se l'industria digitale non è ancora riuscita da sola e con le sue forze ad applicare una soluzione efficace, è evidente che occorra un intervento del legislatore, che obblighi tutti gli operatori nazionali e internazionali a raccogliere dati comuni e condivisi tramite una certificazione esterna. L’industria digitale ha un valore superiore ai 3 miliardi di euro. Non si tratta di un settore che è possibile trascurare. Soprattutto non in questo momento di recessione economica causa pandemia. Nel mio ruolo di vice presidente di Iab Italia, auspico dunque l’intervento di un’iniziativa legislativa, che fornisca regole certe e chiare e metta ordine alla questione. Del resto, in un Paese come il nostro, in cui le norme intervengono per decidere anche come devono essere contate le merci in un magazzino, non si comprende perché si continui a lasciare un vuoto prescrittivo così grande, in un settore oggi tanto importante e che lo sarà sempre di più anche in futuro".

Delle possibilità offerte dal mercato digitale si è parlato anche allo Iab Forum 2019: è emerso che il digital advertising continua a crescere e ha raggiunto i 3,3 miliardi di euro, il 9% in più dell’anno precedente. Tuttavia, poco più del 20% dell'intera torta va a vantaggio delle aziende italiane. Come si può invertire questo trend?

"Dati a parte, guardando al mercato dell’advertising in generale, confido che, grazie al Decreto Rilancio del Governo, che tra le misure importanti a sostegno dell’editoria contiene il credito d'imposta del 50% del valore degli investimenti pubblicitari, il mercato possa finalmente riprendere a marciare a ritmi sostenuti, ma con l’auspicio di un recupero della market share da parte degli operatori nazionali".

**Aldo Agostinelli è in Sky Italia dal 2013, è Digital Officer. In precedenza, ha trascorso oltre cinque anni in HP, dove è stato nominato Digital Director nel 2010 a San Francisco. Il suo ruolo consisteva nel definire, implementare e supervisionare tutte le attività di marketing e comunicazione per la piattaforma di e-commerce HP, Snapfish nel mercato nordamericano. Durante la sua permanenza in HP, Agostinelli è stato anche professore a contratto presso l'Università di San Francisco. Prima di lavorare per HP, Agostinelli è stato Brand Manager per TIM, dove ha trascorso due anni nello sviluppo di servizi mobili interattivi e, prima di ricoprire tale ruolo, ha lavorato presso diverse aziende nazionali e internazionali sempre in ambito digitale e marketing. Agostinelli, attualmente è VP di IAB Italia.

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