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Il pancione? A volte aiuta: diventare mamma può curare le ferite dell'anima

10 febbraio 2016 | 15.02
LETTURA: 4 minuti

Il pancione? A volte aiuta: diventare mamma può curare le ferite dell'anima

Una nuova vita nel pancione e un graffio nell'anima. La nascita di un bebè è un lieto evento, ma insieme alla gioia immensa tutte le mamme in attesa portano con sé anche un bagaglio di preoccupazioni. Tenersi in equilibrio su questo mix di sentimenti contrastanti, però, è ancora più difficile per le donne che hanno subito un trauma. Qualcosa che ha lasciato una ferita tale da sfociare in un disturbo da stress post-traumatico. Per loro non è detto che ci sia solo buio in fondo al tunnel.

La scienza lancia un messaggio positivo: in uno studio pubblicato su 'Depression and Anxiety' un team di ricercatori, contrariamente a quanto si aspettava, ha scoperto che la gravidanza può effettivamente ridurre i sintomi del disturbo da stress post-traumatico (Ptsd) o, almeno, non causare una riacutizzazione del problema. Certo, non in tutti i casi. Per una donna incinta su 4 con il disturbo si verifica purtroppo il contrario: i sintomi peggiorano con il proseguire della gravidanza e poi arrivano le difficoltà nell'instaurare un legame con i neonati. Queste donne si trovano ad affrontare un alto rischio di depressione post-partum. Lo studio realizzato da una squadra di ricercatori dell'University of Michigan Medical School e School of Nursing è il primo a monitorare i sintomi del Ptsd durante l'attesa di un bebè e dopo il parto.

I risultati, spiegano gli esperti, evidenziano la necessità di sottoporre le donne in gravidanza a uno screening per un possibile disturbo da stress post-traumatico non diagnosticato. Nella ricerca sono state arruolate 319 mamme. Trovarle non è stato facile. Il disturbo da stress post-traumatico può avere molte cause - una violenza subita, un disastro naturale, un incidente d'auto, un'infanzia di abusi - ma spesso non c'è una diagnosi formale. Così gli scienziati hanno gettato una rete a largo raggio, con un progetto più ampio - lo studio 'Stacy', finanziato dai National Institutes of Health - e hanno identificato un sottogruppo di donne che rispondevano ai criteri diagnostici del Ptsd.

Più della metà delle mamme arruolate, rilevano gli autori, presentavano sintomi del disturbo da stress post-traumatico elevati nella prima parte della gravidanza. In questo gruppo tutte hanno sperimentato un affievolimento man mano che si avvicinavano al parto. Mentre la situazione delle donne che avevano sintomi più lievi nella fase iniziale della gestazione è rimasta invariata. Per alcune mamme in attesa, invece, il disturbo è peggiorato. Le donne che hanno avuto la peggiore esperienza con il Ptsd durante la gravidanza e problemi post parto sono state le vittime di un nuovo trauma o stress mentre avevano in grembo il piccolo, o quelle che mostravano un alto livello di ansia per il parto.

"Ci auguriamo che i nostri risultati diano un messaggio di speranza alle donne che hanno un passato di disturbo da stress post-traumatico", sottolinea la psichiatra Maria Muzik che ha condotto lo studio. Il 'finale' per loro non è già scritto: "Non tutte sono necessariamente destinate a sperimentare un peggioramento durante la gravidanza", assicura l'esperta.

Ma esiste un gruppo vulnerabile che invece ha un elevato rischio, e gli eventuali problemi che svilupperebbe potrebbero avere effetti duraturi sia per la mamma che per il bambino. "Con poche domande si possono identificare queste donne. E prevenire l'esplosione dei sintomi potrebbe ridurre le probabilità di malattia post-parto e proteggere il futuro bebè", sottolinea Muzik. Lo studio, fra l'altro, mostra che le donne con forti reti di sostegno sociale durante la gravidanza sembrano essere protette dal rischio di peggioramento del Ptsd. In altre parole: partner, parenti e amici possono fare la differenza.

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