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Il pescatore: "Mi hanno picchiato e ci minacciavano"

21 dicembre 2020 | 13.58
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(dall'inviata Elvira Terranova)“Sono stato abbandonato dal mio comandante che è scappato con il peschereccio, neanche un padre abbandona un figlio e lui lo ha fatto. Non lo posso perdonare. Subito dopo sono stato picchiato dai militari libici, che mi hanno dato schiaffi, calci, ginocchiate. E mi minacciavano di tagliarmi la gola. E le gambe. È stato terribile. Ho avuto paura di non rivedere più la mia famiglia. È stato un incubo durato più di tre mesi”. Bernardo Salvo, uno dei pescatori liberati in Libia, fa fatica a parlare. Lo sguardo dietro la mascherina è cupo. Seduto sul divano della sua abitazione tiene sulle ginocchia il piccolo Gabriele di dieci anni. “Il mio scrocchiolino”, lo chiama affettuosamente mentre lo bacia e lo accarezza. Accanto a lui c’è la moglie, Cristina Amabilino, che per tre mesi non ha mai smesso di lottare per riavere il marito a casa. Ha dormito per settimane in tenda, davanti a Montecitorio, insieme con gli altri familiari dei pescatori sequestrati, per “scuotere le coscienze dei politici”, dice oggi. Cristina non smette mai di guardare il suo uomo. Lo scruta, lo accarezza, lo bacia, gli stringe forte la mano. “Finalmente la nostra famiglia si è riunita”, dice Bernardo Salvo.

Nel soggiorno di casa Salvo ci sono anche gli altri due figli della coppia, Antonino di 14 anni e Gaspare di 19 anni. Bernardo, che tutti chiamano ‘Dino’, racconta la sua odissea. Anche se vuole “dimenticare al più presto”. La notte scorsa ha dormito “abbracciato al mio ‘scrocchiolino’ e a mia moglie- dice commuovendosi- ed è stato bellissimo. Ho provato una sensazione stranissima. Ma finalmente mi sono sentito a casa. Dio quanto mi mancava la mia famiglia”.

Ma cosa accadde quel primo settembre nelle acqua internazionali che, secondo i libici, sono invece acque territoriali? “Di sera siamo stati circondati da una motovedetta prima di militari armati - racconta- hanno fatto scendere sulle loro imbarcazioni i comandanti e me, che sono un timoniere. Ma Luciano Gancitano, il comandante del mio peschereccio, il ‘Natalino’, è scappato. E per ‘punizione’ sono stato picchiato. Due pescherecci sono riusciti a scappare, ‘Natalino’ e ‘Anna Madre’, mentre ‘Medinea’ e ‘Antartide’ sono stati presi in ostaggio. E per punizione siamo stati picchiati io e Gaspare Giacalone del peschereccio 'Anna Madre'. E' stato orribile, ho avuto dolori alle gambe per giorni".

'Non perdonerò mai il mio comandante che è scappato'

“Quando si sono accorti che il mio peschereccio era scappato si sono arrabbiati moltissimo - dice ancora scosso Bernardo Salvo - e hanno iniziato a picchiarmi”. Non nasconde la sua rabbia per il comandante della sua imbarcazione, Luciano Gancitano. “No, non lo perdonerò mai - dice con un filo di voce- mi ha abbandonato li’ senza interessarsi dei pericoli che stavo correndo. Non lo voglio più vedere in vita mia”. E la moglie Cristina aggiunge: “Non si deve azzardare a chiamare a casa - dice - non lo voglio sentire. Non lo perdono. E non lo perdonerò mai”.

Anche Bernardo Salvo ha sentito parlare, come altri suoi colleghi marittimo, di uno “scambio tra prigionieri”. “Uno dei pescatori tunisini aiutava in cucina - racconta - e si è fatto amico i carcerieri. E ci ha detto che noi saremmo stati rilasciati solo in cambio della liberazione di quattro detenuti libici in Italia. Ma non sapevamo se fosse vero. Però e lo ha detto più volte”. Poi Salvo ricorda il trattamento subito nei tre mesi di carcerazione: “È stato orribile - racconta- ci hanno fatto dormire sempre a terra. Senza materasso, senza cuscini. Pensavamo di impazzire”.

'Ci tenevano in una stanza tutta nera, senza finestre e dipinta di grigio-nero'

Poi Bernardo Salvo racconta della “stanza nera”. “Ci hanno tenuti in una stanza tutta dipinta di grigio scuro e nero - spiega - dal pavimento alle pareti, e non venerano finestre. Era tutto buio. Accendevano ogni tanto la luce ma poi la spegnevano subito”. Ma come ha superato questi tre mesi di inferno? “Ci facevamo forza l’un l’altro - dice -solo che nelle ultime settimane eravamo davvero molto giù di morale. Pensavamo di dovere trascorrere anche il Natale in carcere. Nel frattempo a Montecitorio le mogli e le figlie dei pescatori si sono sistemate in una tenda all’ingresso del parlamento. “Ho visto ieri per la prima volta quelle immagini è quello che mia moglie ha fatto. Sono rimasto senza parole”.

Nel trasferimento da un carcere all'altro Salvo ha potuto vedere Bengasi. "Una città fantasma - dice - giravano solo militari e non ho mai visto un bambino. DI notte sentivamo dalle nostre finestre gli spari dei fucili". Poi, Bernardo Salvo racconta che dopo la liberazione, quando stavano per ripartire e i motori non funzionavano, "abbiamo avuto paura di tornare in carcere". "E' venuto un nostro amico italiano e ci ha detto 'andate via subito perché altrimenti rischiate di essere nuovamente portati un prigione perché diceva che i parenti dei 4 detenuti libici che dovevano essere liberati in cambio del nostro rilascio erano molto arrabbiati perché i loro congiunti ancora erano in carcere". Un'altra conferma di uno scambio tra prigionieri?

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