Da Cuba arriva l'annuncio del primo “cellular” nazionale mentre le grandi potenze lavorano all'autarchia delle produzioni tecnologiche.
Hecho en Cuba, prodotto a Cuba. Gedeme, un'industria pubblica tecnologica cubana, ha prodotto un telefono con tutta la componentistica interamente realizzata nell'isola caraibica. Più di 6.000 copie dello smartphone verranno distribuite entro fine mese nei negozi dell'azienda nazionale di telecomunicazioni Etecsa. Sull'isola sono circolati nel tempo alcuni modelli di Nokia e Alcatel ma non sono durati molto, anche per la crisi economica che sta colpendo l'isola.
Il direttore generale di Gedeme, René Cano Diaz, ha dichiarato a Radio Rebelde di puntare a “sviluppare nuovi progetti per ottenere una maggiore informatizzazione delle scuole. Un team sta trasformando i televisori in schermi interattivi con una spesa molto contenuta e pochissimi componenti d'importazione”. Il discorso va inquadrato anche nella politica generale del paese: il Presidente della Repubblica Miguel Diaz-Canel, è consapevole del fatto che l'avvento di Joe Biden alla presidenza Usa non comporterà, nonostante le promesse elargite in campagna elettorale, un ammorbidimento dei rapporti trai due paesi. Per questo, e per aggirare eventuali altri embarghi commerciali, sta intensificando le iniziative per rendere il Paese sempre meno dipendente dagli stranieri. In questo senso, l'Avana ha sviluppato propri vaccini contro il Covid e Cuba è l'unica nazione latinoamericana a vaccinare la sua popolazione senza aiuti esterni.
Da diversi anni tutte le grandi potenze stanno affiancando a un movimento di globalizzazione commerciale lo sviluppo di una produzione autarchica e rivolta all'autosufficienza del marcato interno, soprattutto per quanto riguarda i settori high tech. È dal 2015 che la Cina sta intensificando lo sviluppo nazionale dell'industria tecnologica con l'obiettivo dichiarato di liberarsi dalla dipendenza delle altre potenze per sostenere un futuro in piena autonomia produttiva. Proprio di fronte a questo evidente sforzo anche militare cinese, gli Stati Uniti hanno cominciato ad avvertire il fastidio della presenza di tecnologia cinese in alcuni settori come le telecomunicazioni e la difesa. In questo senso vanno inquadrati anche gli attacchi politici e protezionistici alle infrastrutture Internet cinesi cominciati sotto il governo Trump ma tuttora bel presenti e in atto. La stessa Pechino ha reagito alle misure protezionistiche di Washington cominciando una ritirata dall'hardware e dal software a stelle e strisce che la porterà alla totale autonomia nelle istituzioni pubbliche entro il 2022. Anche l'India sta producendo, sotto il governo di Modi, una risposta autarchica al dominio tecnologico cinese e americano che per decenni ha imperversato nel paese attraverso soprattutto la costruzione delle infrastrutture del paese. Ora che le aziende tecnologiche indiane hanno sviluppato una piena maturità, il governo Modi ha avviato una serie di manovre per escludere il controllo straniero e promuovere l’autosufficienza tecnologica dell’India. Insomma, la guerra fredda tecnologica è appena cominciata e, su più livelli, coinvolge non più soltanto due schieramenti.