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Mafia: Boccassini 'capii che Scarantino diceva sciocchezze e mi mandarono via'/Adnkronos

20 febbraio 2020 | 18.50
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La deposizione di Ilda Boccassini
La deposizione di Ilda Boccassini

(dall'inviata Elvira Terranova) - Rivela, per la prima volta, che "prima degli interrogatori di Vincenzo Scarantino", nell'estate 1994, l'allora Procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra, "si chiudeva per ore in una stanza" con il falso pentito che con le sue parole ha fatto condannare ingiustamente degli imputati poi scagionati, ma anche che fu "mandata via" dalla Procura dopo avere iniziato "a capire che Scarantino diceva sciocchezze". E parla anche di relazioni "sparite" in cui parlava della inattendibilità di Scarantino. Fino a spiegare di "non avere mai pensato a un depistaggio".

Stranezze su stranezze emerse nella deposizione fiume di Ilda Boccassini, l'ex Procuratore aggiunto di Milano. Che, per la prima volta e a distanza di 28 anni dalla strage di via D'Amelio, fa rivelazioni inedite. Collegata, per motivi di salute, in videoconferenza dal Tribunale di Milano, il magistrato che, per due anni, fece parte del pool che coordinava le indagini sulla strage Borsellino parla dalle 10 del mattino fino le sette di sera al processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. E dice che l'atteggiamento nei suoi confronti "cambiò dopo le elezioni politiche del 1994", quando vinse Silvio Berlusconi.

Alla sbarra ci sono tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata per avere indotto, secondo la Procura, il falso pentito Scarantino a fare dichiarazioni sulla strage di via D'Amelio. Boccassini, che ha voluto essere inquadrata solo di spalle, dice anche che la sua presenza alla Procura di Caltanissetta, dal '92 al '94, era "servita a fare fare carriera" ad alcuni colleghi "ma non io non ero interessata a fare carriera"e ripete più volte, per tutta la deposizione, di avere capito "fin dall'inizio" che Vincenzo Scarantino, a suo avviso, "non era attendibile. Anzi". Fino a sbottare quasi a fine udienza: "Scarantino non era credibile, come ve lo devo dire?. Era un mentitore". Mentre colleghi come Annamaria Palma e Carmelo Petralia, entrambi indagati per calunnia aggravata dalla Procura di Messina, "davano credito al collaboratore".

Spiega anche, rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto Gabriele Paci e del pm Stefano Luciani, applicato al processo ma oggi pm a Roma, di non "avere mai saputo di eventuali rapporti tra la Procura nissena e i servizi segreti", dopo le stragi. Una deposizione fiume in cui il magistrato, andata in pensione lo scorso dicembre, non risparmia le critiche ai suoi colleghi del pool sulle stragi.

Proprio di recente, il consigliere del Csm Antonino Di Matteo, deponendo nello stesso processo, parlando di Ilda Boccassini e dei suoi dubbi su Scarantino, disse: "Seppi delle note della Boccassini e delle sue osservazioni critiche sulla gestione del pentito Scarantino solo tra il 2008 e il 2010. Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un un magistrato da stimare moltissimo, ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar”.

Oggi, Boccassini ribadisce i continui dubbi su Scarantino. Dubbi che, però, all'epoca, all'interno della Procura, avevano solo lei e il collega Roberto Sajeva. I due lo misero poi nero su bianco in un documento. Una relazione che poi "è sparita", denuncia oggi Boccassini. "Su Vincenzo Scarantino vi erano visioni completamente diverse - spiega il magistrato - Gli altri colleghi erano propensi a dire da subito 'bene, Scarantino sta collaborando'. Ma per me c'erano delle perplessità. Molte perplessità. Tant'è che volevo persino annullare le mie ferie per partecipare agli interrogatori. Ma la risposta di Tinebra fu: 'ti sei sacrificata tanto, ora te ne vai in ferie', e così tornai a settembre. Ma il patatrac per me e Roberto Sajeva fu quello che leggemmo al nostro ritorno. Essere tenuta fuori dai giochi era la prassi. Vuoi per leggerezza, vuoi per sciatteria, non ero più la protagonista come lo ero stata nei mesi precedenti nella dinamica investigativa delle due stragi".

"Quando io sono arrivata alla Procura di Caltanissetta, anche parlando con i colleghi che già c'erano e con il capo dell'ufficio e lo stesso dottor Arnaldo La Barbera, i dubbi su Scarantino già c'erano - ribadisce - I dubbi su una persona che non era di spessore, anzi che non era per niente di spessore. "Forse all'inizio avevo meno perplessità - dice Boccassini- perché non ero ancora entrata nelle carte, nella mentalità. Io ero lì in attesa, ma anche degli altri nessuno gridava 'ma che bella questa cosa'.

Tutti erano con i piedi di piombo su questa cosa. Era l'inizio ancora e bisognava andare avanti per vedere se l'indagine portava a qualcosa di più sostanzioso". Ma già poco dopo tempo, Boccassini capì che Scarantino "non era credibile". E lo ribadisce più e più volte. Dall'inizio fino alla fine della lunga deposizione. Come una litania.

Per Boccassini "si doveva capire subito" che Vincenzo Scarantino, il falso pentito della strage di via D'Amelio "era inattendibile". Il magistrato, che fu applicata a Caltanissetta dal 1992 al 1994, ricorda che nell'agosto 1994, poco prima che lasciasse Caltanissetta, aveva chiesto al Procuratore Giovanni Tinebra di potere partecipare agli interrogatori di Scarantino e rinviare le ferie, ma il Procuratore la mandò in vacanza. "Dopo il mio ritorno venni tenuta fiori dai giochi - dice - Non ero più la protagonista della dinamica investigativa". "Io ero disponibile persino a un trasferimento d'ufficio da Milano alla Procura di Caltanissetta, ero disposta a restare anche per la tutela delle indagini. Ma l'allora Procuratore Tinebra disse 'assolutamente no', cioè non mi volevano...".

Poi arriva un attacco frontale a Gioacchino Genchi, l'ex poliziotto ed ex consulente informatico della Procura di Caltanissetta dopo le stragi mafiose, poi sospeso dalla Polizia. Secondo Boccassini era "una persona pericolosa per le istituzioni, aveva conservato un archivio con i tabulati che aveva raccolto. E poi vedeva complotti e depistaggi ovunque". Genchi, dopo le stragi, era stato chiamato per dare una mano al Procuratore Giovanni Tinebra ma dopo l'arrivo di Ilda Boccassini a Caltanissetta, nacquero i primi conflitti. "Non mi piacque questo suo atteggiamento - dice oggi- chiese persino di indagare anche su Giovanni Falcone, dopo la strage di Capaci, chiese di esaminare persino le sue carte di credito. Non mi piacque e lo dissi a Tinebra, gli spiegai: 'Le analisi dei tabulati le può fare chiunque'. Insomma, non mi piaceva il suo modo di lavorare, così fu allontanato. Tinebra non voleva perdere la mia capacità lavorativa, quindi da quel momento Genchi non si è più occupato di stragi". Poi lo ha ancora attaccato definendo "miserie umane" alcune dichiarazioni "fatte da Genchi sui giornali". "Era una persona di cui non avevo fiducia e non credo di essermi sbagliata".

Immediata la replica di Genchi, che la attacca ancora più duramente: "Ilda Boccassini a distanza di quasi un trentennio da quegli eventi non si rende ancora conto di essere stata - probabilmente senza volerlo, perché indotta da altri sentimenti - la prima vera responsabile dei depistaggi delle indagini sulle stragi che grazie a lei Arnaldo La Barbera ed altri, sopra e sotto di lui, hanno potuto compiere", dice. E aggiunge: "La sua repentina fuga da Caltanissetta dopo avere contribuito ad accreditare il falso pentito Scarantino, il suo infausto passaggio da Palermo e il ritorno a Milano, da dove era andata via per le note vicende a tutti note, ne sono una conferma".

Il magistrato ripercorre i momenti in cui era arrivata alla Procura nissena come applicata, nell'ottobre del 1992, cioè pochi mesi dopo le stragi mafiose. E iniziò ad occuparsi prima della strage di Capaci e poi della strage di via D'Amelio. "Quando arrivai come pm applicato alla Procura di Caltanissetta, la prima decisione fu quella di rifare il sopralluogo a Capaci, perché leggendo le carte, e non solo la ricostruzione, mi resi conto che era stato fatto male. Mancava una regia", spiega. Ricorda che fu rifatto il sopralluogo a Capaci "coinvolgemmo tutte le forze dell'ordine, dai Carabinieri alla Guardia di Finanza, alla Polizia fino all'Fbi e tutte le forze possibili".

"Il primo periodo fu dedicato esclusivamente a questo - dice - ci fu una divisione di compiti delle forze di polizia che dovevano partecipare all'indagine sulle stragi ma con competenza specifica". Per quanto riguarda le indagini sulla strage di via D'Amelio, dice che "una delle prime ipotesi di lavoro era che il telecomando fosse stato azionato da castello Utveggio dove si diceva ci fosse una postazione Sisde. Su questi punti le indagini erano partite quasi subito". "Fu anche attivato un filone di indagine sulla presenza di Bruno Contrada in via D'Amelio, ma dai riscontri risultava che, al momento dell'esplosione che uccise Borsellino e gli agenti di scorta, fosse altrove, in barca con un gioielliere palermitano". Non sono mancati i momenti do forte tensione tra Ilda Boccassini e alcuni legali ma, soprattutto, con i pm.

Soprattutto quando l'ex pm del pool sulle stragi mafiose dice: "Non fa onore a chi indossa la toga avere raccolto certe dichiarazioni, come quando Scarantino disse di essere stato minacciato da me e da La Barbera. Questa era una calunnia bella e buona ma non sono stata tutelata".

Parole che infiammano il pm Stefano Luciani che sbotta, rivolgendosi al Presidente del Tribunale D'Arrigo: "Presidente la invito a far presente alla teste che si deve limitare a rispondere alle domande. Non siamo qui per prendere lezioni da nessuno: visto che si parla di decoro delle toghe, cosa si doveva fare in quel caso, non verbalizzare quello che diceva Scarantino?". Il Presidente prova a riportare la calma e invita le parti a stare tranquilli. Ma gli animi sono ormai surriscaldati. Solo dopo le 19, con le domande dei legali dei tre imputati, l'udienza fiume termina. Con le parole di Ilda Boccassini che dice: "Io, purtroppo, non ho svolto un ruolo, nelle indagini sulla strage di via D'Amelio". Il processo è stato rinviato a venerdì prossimo, 28 febbraio.

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