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Imprenditore denuncia mafia e tangenti, azienda chiusa. La storia di Giuseppe Schirru

17 aprile 2015 | 12.55
LETTURA: 6 minuti

Ha denunciato la richiesta di tangenti e anche il tentativo di infiltrazioni mafiose, ha tentato di tenere in vita la sua azienda cercando di operare nella legalità. Ma non ce l'ha fatta, sopraffatto dai debiti: la sua Emyr Sanitaria ha chiuso i battenti a marzo. Una piccola impresa su tre paga tangenti

di Fabio Insenga

Infophoto - INFOPHOTO
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Ha denunciato la richiesta di tangenti e anche il tentativo di infiltrazioni mafiose, ha tentato di tenere in vita la sua azienda cercando di operare nella legalità. Ma non ce l'ha fatta, sopraffatto dai debiti: la sua Emyr Sanitaria ha chiuso i battenti a marzo. E' la storia, raccontata dall'Adnkronos, di Giuseppe Schirru, un imprenditore siciliano che fino a poche settimana fa operava nel settore delle protesi ortopediche, offrendo servizi in convenzione con il sistema sanitario nazionale.

Oggi, si sente addirittura "in pericolo di vita". Le ultime denunce, quelle che riguardano il tentativo di infiltrazioni mafiose nella sua impresa, chiamano in causa "persone già condannate al 416 bis che volevano offrire 'un aiuto', rilevare una quota consistente dell'azienda per tenerla in vita". Ora, il caso è all'attenzione della Dia, la Direzione investigativa antimafia, a cui si sono rivolti i Carabinieri di Termini Imerese che hanno raccolto la denuncia di Schirru. Ma, è il grido d'allarme dell'imprenditore, "i tempi della giustizia sono troppo lenti per accedere al sistema di protezione e si vive nella paura".

Schirru ha aperto la sua attività 27 anni fa e, come accertato anche da due sentenze di primo e secondo grado che condannano un funzionario del Distretto Sanitario di Misilmeri addetto all’Ufficio Protesi, ha subito una concussione durata oltre 16 anni. Nonostante la giustizia stia facendo il suo corso, l'imprenditore è stato costretto a chiudere la sua attività per i troppi debiti accumulati verso l'Erario e le banche. Anche se il dibattimento ha confermato pienamente la tesi accusatoria della parte civile, infatti, nelle more del processo le banche non hanno concesso ulteriori proroghe al credito.

Uno dei funzionari pubblici che hanno 'taglieggiato' l'imprenditore, si legge negli atti, "abusando dei suoi poteri, in tempi diversi e con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, con minacce di ostacolare i pagamenti delle forniture, ha costretto Schirru Giuseppe, titolare della Emyr Sanitaria, fornitrice di presidi sanitari all’Asl, a versare indebitamente in favore dell’imputato somme di denaro ammontanti a complessivi 40 milioni di vecchie lire, in contanti ed assegni, oltre a corrispondergli altre utilità e a consegnare gratuitamente merce e forniture per sé e propri familiari". Una tesi che la sentenza del Gup di Termini Imerese accoglie fino in fondo: "provati gli episodi nella loro materialità storica, gli stessi integrano appieno la fattispecie di reato contestata (...) ricorrono infatti nel caso di specie tutti gli elementi tipici del reato di concussione". La sentenza è stata confermata anche dalla Corte d'Appello di Palermo, in secondo grado, con dispositivo dell'11 marzo 2015. Ogg, le indagini sul malaffare all'interno dell'Azienda sanitaria provinciale di Palermo continuano per cercare ulteriori riscontri rispetto alle numerose denunce già depositate da Schirru.

A raccontare i dettagli di una storia di corruzione e malaffare è lo stesso imprenditore siciliano. Partito da un negozio a Misilmeri, ventisette anni fa, ha allargato progressivamente la propria attività ai distretti sanitari di Palermo, Termini Imerese, Cefalù e Pantelleria. E al crescere del volume degli affari sono proporzionalmente cresciute le richieste di mazzette e favori. "Avere a che fare con la continua questua di posti di lavoro, di soldi da parte di medici e funzionari, mi ha portato a prosciugare l'azienda. A forza di pagamenti e regali, l'azienda ha iniziato a indietreggiare", racconta con un filo di voce Schirru. Poi, nel 2004, la decisione di fermare il meccanismo perverso che lo stava risucchiando. "Ho iniziato a denunciare tutto: le richieste di tangenti da parte dei direttori di banca, per cui ho vinto delle cause civili; le tangenti nel settore della sanità, che hanno portato alle condanne in primo e secondo grado di alcuni funzionari". Poi è arrivata anche la mafia. "Ho denunciato che persone già condannate al 416 bis chiedevano con insistenza di entrare nella società, ho raccontato tutto nel dettaglio ai carabinieri di Termini Imerese, che si sono rivolti alla Dia. Ora siamo in attesa della decisione del magistrato...". La corruzione ha spinto l'azienda al fallimento. "Guadagnavo diecimila euro al mese tutti dichiarati, oggi ho 700mila euro di debiti tutti rateizzati con Equitalia", sintetizza Schirru, che è stato costretto a chiudere definitivamente la Emyr sanitaria a marzo. Ora l'imprenditore ha anche difficoltà a trovare lavoro. "Sono un tecnico altamente specializzato ma in Sicilia nessuno si fida di uno che ha avuto il coraggio di denunciare. Voglio vivere nella legalità, ma non sembra possibile".

Ad uscire dal caso particolare, per ragionare su un sistema che spesso costringe gli imprenditori alla resa, è l'avvocato di Schirru, Francesco Billetta. "Gli imprenditori non trovano il coraggio di denunciare il sistema 'malato' in cui vivono perché lo Stato non fornisce loro, subito, nell'immediatezza della denuncia, quel sostegno finanziario di cui hanno bisogno". L'imprenditore che esce dall'illegalità, spiega, "si trova fuori da quel mercato ed è destinato a soccombere in assenza dello stesso sistema corrotto di cui prima faceva giocoforza parte". La soluzione al problema, secondo il legale, "potrebbe essere la formazione di un'Agenzia per la Legalità in grado di tessere una rete economica (bancaria) di sostegno per quanti decidono di cambiare rotta, verso un mercato sano".

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