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In Italia oltre 150mila induisti

04 novembre 2019 | 13.40
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Trentamila sono italiani. E' quanto emerge dal rapporto Eurispes, prima approfondita ricerca su una realtà che cresce nel nostro Paese e che lamenta la scarsa presenza di templi

(Fotogramma)
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Gli induisti in Italia sono oggi oltre 150.000; la loro presenza nel nostro Paese ha conosciuto in questi anni una crescita rilevante. Oltre alla popolazione immigrata, si contano circa 30.000 cittadini italiani induisti. Tuttavia, la cultura induista rimane in Italia scarsamente conosciuta, ridotta a meri stereotipi e semplificazioni, quando non a vere e proprie false credenze. E' quanto emerge dal rapporto 'L’Induismo in Italia' realizzato da Eurispes, la prima approfondita ricerca sull’Induismo nel nostro Paese, che racconta questa realtà da prospettive diverse e dà voce direttamente agli induisti, sia quelli italiani sia quelli stranieri che vivono sul nostro territorio.

Ecco l'identikit degli induisti italiani in Italia cominciando dalla figura della donna. La quasi totalità del campione (96,1%) sostiene che le donne debbano ricevere un’istruzione, il 90,9% ritiene che debbano lavorare e contribuire all’economia familiare. Secondo un quarto degli intervistati (24,5%) le donne dovrebbero seguire il marito e più di due su dieci (21,1%) credono che la donna abbia il compito di accudire casa e famiglia; solo secondo il 3% è meglio che le donne stiano a casa dove corrono meno pericoli e sono più al sicuro. I più conservatori sono gli uomini: il 26,9% afferma che le donne devono occuparsi soprattutto di casa e famiglia (contro il 16,7% delle donne). A sorpresa, sono le più giovani a ritenere che le donne sono più al sicuro se rimangono a casa: lo afferma l’8,3% delle 18-24enni. Il 72,8% degli intervistati non conosce donne che in famiglia vengono maltrattate dagli uomini; tuttavia, il 27,2% ne conosce “poche” (16,9%), alcune (9,1%), molte (1,2%).

Quasi i tre quarti degli induisti italiani (72,6%) identifica in una precisa visione della vita ‒ impegnata a cogliere segni del divino in ogni cosa o essere ‒ la sua appartenenza alla fede induista. Secondo il 14,2%, invece, l’aspetto fondamentale è da rintracciare nella pratica religiosa (osservanza dei riti, abitudine alla meditazione, frequentazione di templi sacri); secondo il 4,5% tutto gira intorno alla propria comunità di appartenenza e il 3% si identifica nelle sue abitudini e tradizioni. Per 9 induisti su 10 la religione è importante nella propria vita. E a ritenere la pratica religiosa molto importante sono più le donne rispetto agli uomini (31,4% contro il 26,5%).

Tra le principali difficoltà riscontrate dagli induisti italiani, c’è la scarsa presenza di templi: più della metà degli intervistati (52,6%) non ha un tempio nei pressi della propria casa o luogo di lavoro; e coloro che, invece, ne hanno uno vicino, sostengono che nel 34,1% dei casi si tratta di luoghi preesistenti e adattati. Dunque, il nostro Paese è sprovvisto di strutture pensate per il ritrovo delle comunità per la celebrazione del culto e delle festività.

Rispetto e tolleranza sono gli atteggiamenti prevalenti degli induisti nei confronti di chi pratica altre religioni: quasi 6 su 10 (58%) indicano il rispetto come atteggiamento prevalente. D’altra parte, quasi uno su tre (32,9%) frequenta anche altri luoghi religiosi oltre al tempio induista. E il 65,3% conosce parroci o rappresentanti della Chiesa cattolica, segno di apertura e dialogo (il 34,7% non ne conosce). Quasi 9 induisti italiani su dieci (89,4%) si sentono rappresentati dall’Unione Induista Italiana; per l’80,7% questa realtà rappresenta un tramite con le Istituzioni italiane.

Al quesito “quale area politica secondo te è più attenta ai problemi degli induisti italiani”, il 43,5% non sa che cosa rispondere e il 22,7% risponde nessuna. La restante fetta si divide tra chi vede nella sinistra il partito più attento (14,2%), avverte la vicinanza del centro-sinistra (13%); una ristretta minoranza risponde “centro-destra” (3,3%), “centro” (2,1%) e “destra” (1,2%). Secondo la metà degli induisti italiani (49,8%), il principale problema tra la comunità induista residente e l’Italia è la mancanza di conoscenza e dialogo; il 16,6% ritiene non ci sia alcun problema; uno su dieci pensa che le Istituzioni italiane siano indifferenti verso i diritti e i problemi degli induisti; il 9,7% crede ci siano profonde differenze tra le due culture; secondo l’1,8% esiste una diffusa ostilità degli italiani nei confronti degli induisti.

Ma quale atteggiamento hanno gli italiani nei confronti degli induisti? Quasi tre su dieci (28,1%) credono ci sia una grande curiosità; per il 18% l’atteggiamento prevalente è, invece, l’ignoranza; per il 16% l’indifferenza, per il 10,9% la diffidenza.

Alla domanda “sei mai stato spettatore di episodi di razzismo contro gli induisti in Italia?”, quasi nove su dieci (88,3%) rispondono negativamente, il 6,3% è stato spettatore “una volta”, il 4,8% “qualche volta”, lo 0,6% “molte volte”.

L’indagine è stata condotta tra maggio 2018 e giugno 2019 ed ha coinvolto 330 induisti italiani e 519 induisti di origine straniera residenti in Italia, dai 18 anni di età in su. La rilevazione è stata realizzata soprattutto nei templi induisti, ma anche in alcuni luoghi di aggregazione dei lavoratori indiani.

Quanto all’identikit degli induisti stranieri in Italia, dal rapporto emerge che la maggiore presenza di templi induisti e dell’Unione Induista Italiana nell’Italia settentrionale si riflette nella rilevazione: in questa area geografica, infatti, risiede circa metà del campione degli induisti stranieri intervistati. La maggioranza degli intervistati è coniugata (55,1%), il 43% celibe o nubile. Quest’ultimo dato è da imputare all’elevata quota di giovani tra gli intervistati: solo il 16% ha più di 45 anni, il 29% dai 18 ai 24 anni. Gli uomini sono leggermente più numerosi delle donne (54,5%). Metà del campione è costituito da diplomati, un terzo possiede la licenza media, il 7,9% è laureato, il 5,2% ha la licenza elementare, il 3,7% è privo di titolo. Per quanto riguarda la condizione occupazionale, il 55,3% è occupato, il 17,3% è studente, il 15,8% casalinga/o, il 6,9% disoccupato, il 4,4% in cerca di prima occupazione.

Gli immigrati di religione induista sono residenti in Italia da un lungo periodo: il 71,9% vive nel nostro Paese da oltre 10 anni e in oltre la metà dei casi, il 54,7%, vive in Italia con tutta la famiglia. Il 46,6% degli intervistati ha lasciato il proprio paese di origine per ragioni personali (tra le quali la ricerca di migliori condizioni di vita ed economiche); il 38,3% per lavoro; in una minoranza di casi (6,2%) la motivazione risiede nei problemi legati al paese d’origine.

Tra quanti provengono dallo Sri Lanka risulta più alta della media la percentuale di chi riferisce di essere emigrato per motivi legati al proprio paese (15,4%). Il 57,9% degli originari del Bangladesh si sono trasferiti per lavoro. Tra chi proviene dal Nepal e dalle Mauritius la motivazione più frequente è rappresentata dalle ragioni personali (rispettivamente 66,7% e 55,3%). Il 44,1% degli stranieri induisti ha intenzione di restare per sempre nel nostro Paese. Tra i più giovani è maggiore la propensione ad immaginare il proprio futuro in un’altra nazione.

Il 60,5% degli immigrati induisti svolge un lavoro nel nostro Paese. Solo la metà del campione dei lavoratori però ha un impiego stabile (51%). Un quarto degli induisti immigrati lavora come operaio (25,8%), il 18,5% come lavoratore agricolo o pescatore.

La quasi totalità dei genitori immigrati di religione induista (94,4%) ritiene che i propri figli a scuola abbiano buoni rapporti con gli alunni italiani e con gli insegnanti; l’81,3% è sicuro che si sentano anche rispettati come induisti. Dato preoccupante però che oltre un quinto dei ragazzi, secondo i genitori, a scuola hanno difficoltà legate alla comprensione della lingua italiana (21%). I testi scolastici in molti casi non riportano informazioni corrette quando parlano di Induismo.

Interrogati su chi, a loro avviso, risulti più integrato nella società italiana, gli intervistati rispondono, nel 39,5% dei casi, le seconde generazioni di induisti e nel 35,5% le terze generazioni. È soprattutto il timore che le nuove generazioni, vivendo in Italia, dimentichino i valori professati dall’Induismo ad attanagliare gli immigrati induisti (53,2%).

Un intervistato su 5 ritiene che le donne debbano stare a casa, dove sono più al sicuro (20,2%); la stessa percentuale pensa che le donne non debbano lavorare e contribuire all’economia familiare. Secondo il 62,8% degli immigrati induisti le donne indiane non sono meno rispettate di quelle italiane, benché 1 su 3 sostenga il contrario (33%). In oltre la metà dei casi (55,1% contro il 41,4%) si ritiene che le donne italiane siano più libere di quelle indiane che, di contro, vengono ritenute meno esposte a rischi rispetto a quelle italiane (49,9% vs 45,5%). È stato chiesto di rispondere sulla conoscenza di eventuali episodi di maltrattamento in ambito familiare: si tratta di pochi (17,5%), alcuni (9,1%) e molti (soltanto 1,7%).

La maggior parte degli intervistati ritiene che non ci siano problemi tra la comunità induista e l’Italia (30,4%), ma questa opinione è quasi eguagliata dalla constatazione di una mancanza di conoscenza e dialogo tra le due comunità (29,3%). Il 13,5% degli induisti residenti in Italia denuncia l’indifferenza delle Istituzioni italiane verso i diritti e i problemi della propria comunità e poco meno di uno su dieci (9,2%) reputa un problema le profonde differenze tra la cultura induista e quella italiana; solo il 3,7% riporta l’esistenza di una diffusa ostilità degli italiani nei confronti degli induisti e il 13,9% ritiene che sussistano ulteriori problemi, differenti da quelli proposti. L’atteggiamento degli italiani nei confronti degli induisti viene considerato in generale rispettoso (36,6%), aperto (17%) e improntato sulla curiosità (12,3%). Non manca chi rileva anche atteggiamenti negativi come: indifferenza (16%), diffidenza (8,5%), ignoranza (5,4%) e ostilità (1,5%).

Oltre un terzo degli intervistati (34,2%) ha assistito ad episodi di razzismo contro induisti: almeno una volta (20,4%), qualche volta (12,1%) e spesso (1,7%). Tra quanti hanno invece vissuto in maniera diretta comportamenti razzisti, il più sofferto risulta essere la scortesia (32,6%), seguito da derisione (23,5%), esclusione (14,8%) e insulti razziali (13,3%).

Con diverse intensità (sommando le risposte “qualche volta”, “spesso” e “sempre”), tra gli induisti è diffusa l’opinione che i non induisti credano che l’Induismo sia una religione politeista (91,9%). Inoltre, gli induisti credono di essere considerati inclini al proselitismo nel 66,3% dei casi. Associare l’Induismo alle vacche sacre è, secondo gli intervistati, un fenomeno comune (91,6%,) e con ancora più frequenza ritengono che la loro religione sia associata alle caste (92,7%). Con minore frequenza invece i non induisti assocerebbero l’Induismo alla mancanza di rispetto per le donne (79,1%). La religione induista, infine, sarebbe associata all’amore per gli umili nel 77,8% dei casi e alla fede nel karma nel 94,4% dei casi.

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