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Fotografia: in un libro la storia di Marcello Geppetti, 'paparazzo' e non solo

04 settembre 2020 | 19.24
LETTURA: 3 minuti

In 'Fotoreporter' di Vittorio Morelli un viaggio dalla Dolce Vita agli Anni di Piombo

Foto di Marcello Geppetti © MGMC. Brigitte Bardot a Spoleto. Giugno 1961
Foto di Marcello Geppetti © MGMC. Brigitte Bardot a Spoleto. Giugno 1961

Era uno dei paparazzi romani, Marcello Geppetti. Probabilmente il re dei paparazzi. Macchina fotografica al collo a cavallo della Vespa ad inseguire le star del cinema. Fotografo per caso, o forse per destino, è stato uno dei “costruttori” del mito della Dolce Vita, membro di quel gruppo dei fotografi d’assalto romani che Federico Fellini ha consegnato alla storia nel suo film.

A immortalare il “bacio dello scandalo” tra Liz Taylor e Richard Burton nel giugno del 1962 a Ischia con il suo teleobiettivo Novoflex da 400mm raddoppiato e montato sulla Nikon F; a riprendere Anita Ekberg che si difende dai fotografi nel 1960 armata di arco e frecce davanti alla sua villa romana o, ancora, a fermare su pellicola la bellissima Audrey Hepburn in una panetteria della Città Eterna nel 1961 è quel giovane fotoreporter arrivato da Rieti all’inizio degli anni Cinquanta e che aveva mosso i suoi primi passi nella professione iniziando da fattorino in un giornale della Capitale. A raccontare la vicenda umana e professionale di Geppetti è, per le edizioni All Around Vittorio Morelli, con “Fotoreporter. Marcello Geppetti da via Veneto agli anni di piombo”.

Il libro - con una introduzione del giornalista del Corriere della Sera Paolo Conti che ebbe la fortuna, giovanissimo, di conoscere e lavorare con Geppetti a Momento Sera, porta il lettore a cavallo tra gli anni 60 e 70. Morelli consegna il ritratto di un grande fotografo morto troppo presto, nel 1988, e apprezzato più all’estero che in Italia (il New York Times e Newsweek lo paragonò a Henri Cartier-Bresson).

E’ la rappresentazione della realtà, senza filtri e facili moralismi, la carta vincente di Geppetti. Infatti, così come sa leggere e offrire al pubblico il mito della Dolce vita, riesce a cogliere con altrettanta bravura e occhio attento quello che sul finire degli anni Sessanta agita la società italiana: la stagione intensa delle contestazioni operaie e studentesche, il conflitto sociale, il terrorismo. La reflex di Geppetti il 1° marzo 1968, a Valle Giulia, sede della facoltà di Architettura dell’Università di Roma riprende con una vividezza unica gli scontri di piazza tra i manifestanti e le forze di polizia. Ma lo troviamo pure all’Idroscalo di Roma, dove su un prato desolato giace senza vita Pasolini, o in via Caetani a Roma il giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Attimi fermati per sempre su carta per diventare documento e testimonianza. In una parola storia, o meglio giornalismo tout court. Ecco perché quell’etichetta “paparazzo” che pure aveva contribuito a renderlo famoso gli stava stretta. Troppo dispregiativa, troppo riduttiva.

Consapevole dell’importanza del suo lavoro, nel 1966 Geppetti diventa uno dei fondatori dell’AIRF (Associazione Italiana Reporters Fotografi), di cui sarà tra le colonne portanti fino alla morte. E l’autore di “Fotoreporter” dedica un capitolo del libro per raccontare con dovizia di particolari le peculiarità del giornalismo fotografico e il lungo impegno dei fotoreporter per accedere all’Ordine dei giornalisti, obiettivo raggiunto solo nel 1976, grazie anche all’instancabile opera di mediazione e di stimolo dell’Airf.

L’archivio fotografico di Geppetti, tenacemente conservato dal figlio, conta circa un milione di negativi. Pezzi inestimabili di storia italiana. Che meritano di essere riscoperti. Assieme alla figura di un uomo che, come racconta con parole toccanti il figlio, aveva una integrità morale tale da rifiutare i 12 milioni di lire (cifra astronomica nel 1962) da parte dell’avvocato di Richard Burton per ritirare le foto del bacio. La risposta di Geppetti fu no, perché 'io lavoro per la stampa e non per i privati, e poi cosa si direbbe, di me, in giro?'.

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