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Indonesia, famiglie sub scomparsi un anno fa: "Vogliamo la verità, l'inchiesta riparta"

20 agosto 2016 | 19.53
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(Xinhua)
(Xinhua)

Un anno dopo il dolore resta, come la voglia di verità e il bisogno di spiegare che fidarsi di persone incompetenti può costare la vita. A parlare all'Adnkronos è Claudia Mastrogiuseppe, sorella di Alberto (36 anni), uno dei tre sub milanesi dispersi dal 15 agosto 2015 nelle acque dell’isola di Sangalaki, nel Borneo, dopo un’immersione. Insieme a lui sono spariti in quel tratto di mare indonesiano la fidanzata Michela Caresani, 32 anni, e l’amico Daniele Buresta, di 36. Dispersa una belga di 29 anni, Vana Chris Vanpuyvelde, che si era unita al gruppo. Si salva, restando sulla barca, Valeria Baffè (34 anni) fidanzata di Daniele.

Claudia parla a nome delle quattro famiglie che da dodici mesi cercano di dare una risposta a un incidente con troppi lati oscuri e un finale amaro ma 'aperto'. L'inchiesta è "sospesa" in attesa che il mare restituisca i corpi, il dolore è costante e ogni notizia - come la morte dei tre sub a Palinuro - "tira fuori tutto, riapre ferite e fa scattare confronti anche se sono storie diverse". La vicenda dei quattro sub dispersi in Indonesia, ancora oggi, non è chiarita: le informazioni raccolte dalle istituzioni locali sono tardive e lacunose.

"Il primo report della protezione civile indonesiana - racconta Claudia solo due anni più grande del fratello Alberto - l'abbiamo ricevuto nell'ottobre 2015 quando al termine dei dieci giorni di ricerche hanno riportato di non aver trovato nulla. Solo lo scorso febbraio, invece, abbiamo avuto il rapporto della polizia, in cui la guida che li accompagnava e che li ha abbandonati è stata ritenuta negligente, ma quell'uomo, che per me non è un essere umano ma è un criminale, è a piede libero: potrà essere incriminato per omicidio colposo solo se verranno trovati i corpi di mio fratello e dei suoi amici". Una beffa per chi è costretto a convivere con la speranza.

Per Claudia e per le altre famiglie che non smettono di sperare la guida Oslan "non ha raccontato la verità su cosa è successo quel pomeriggio" del 15 agosto 2015. Anomalo il fatto che si sia allontanato per chiedere aiuto lasciando i quattro turisti da soli, difficile capire perché la barca non era vicina al punto di immersione, strano che abbia perso l'orologio subacqueo con cui si sarebbe potuta ricostruire l'ultima immersione del gruppo, anche gli orari sembrano non coincidere. Le ricerche ufficiali, con i pochi mezzi a disposizione, erano scattate solo 24 ore dopo. Anche quelle private, finanziate dalle famiglie, non avevano dato risultati.

"La guida non aveva la licenza per operare e neppure il Diving center a cui mio fratello e gli altri ragazzi si sono rivolti non aveva le carte in regola, ma questo lo abbiamo scoperto dopo. Su quella barca mancavano i minimi standard di sicurezza. La guida li ha fatti immergere dove non doveva, in un posto dove le correnti probabilmente erano troppo forti e li hanno spinti in mare aperto", spiega. La cosa più probabile è che qualcosa sia successo durante l'immersione e che i ragazzi non siano più venuti a galla. Un incidente o meglio una negligenza costata quattro vite.

"Credo che siano stati cercati nel posto sbagliato, penso che dopo un anno non è stato chiarito nulla, ma noi siamo costretti a convivere con la speranza e non ci arrendiamo. Mio fratello come gli altri era una persona coscienziosa, non era uno che rischiava; era il sub più esperto e sentiva la responsabilità per gli altri. Si è solo fidato della persona sbagliata" in un paradiso per le immersioni che è anche "un arcipelago pericoloso a causa delle correnti. Vorrei che nelle guide turistiche si ricordassero sempre i pericoli e venisse indicato di rivolgersi solo agli esperti".

La speranza ora è che il mare restituisca quello che con forza ha portato via a quattro famiglie che "nel dramma si sono unite. E' difficile immaginare cosa possa provare un genitore, una mamma, anche perché è una storia non conclusa in cui resta il dubbio di come siano andate davvero le cose. La verità ci è dovuta, a noi, ma soprattutto a chi non c'è più", dice Claudia Mastrogiuseppe. In attesa di mettere a posto i tasselli di questa storia la guida è libera, "continua la sua vita come se nulla fosse successo": per lui nessun divieto neppure quello, secondo indiscrezioni, di poter fare ancora immersioni.

"Andiamo avanti, tanta la solidarietà che abbiamo incontrato, - racconta Claudia anche a nome delle altre famiglie - perché dobbiamo farlo, ma il dolore è lì da quel maledetto pomeriggio", di un anno fa. "Sappiamo che questa storia non ha più precedenza sulle altre, ma speriamo di non essere dimenticati e che si faccia pressione affinché questa indagine prosegua; lo devo a mio fratello e ai suoi amici", aggiunge.

"Spero che qualcosa si muova: la guida ha responsabilità enormi - li ha lasciati soli, opera in assenza di norme di sicurezza e senza brevetto - deve essere perseguito dalla legge perché non faccia più danni. Non voglio vendetta, la giustizia mi ripagherebbe solo in modo marginale e non mi restituirebbe mio fratello, ma voglio che non accada più e che la guida risponda del suo gesto irresponsabile e criminale". Per un'immersione da poche centinaia di euro "ha portato a morire quattro persone. Ai ragazzi pronti a partire per un viaggio vorrei dire di informarsi sempre e di affidarsi solo a persone esperte perché la vita è una sola e mio fratello ha pagato caro la fiducia nella persona sbagliata".

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