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Cultura: il linguista Antonelli, l'italiano insegua la bellezza

16 ottobre 2014 | 16.46
LETTURA: 4 minuti

A pochi giorni dagli Stati generale della lingua italiana, in programma a Firenze il 21 e 22 ottobre, l'esperto spiega: "necessario superare l'idea nostalgica e conservatrice della nostra lingua".

Giuseppe Antonelli(Rosaria Carpinelli  consulenze Editoriali)
Giuseppe Antonelli(Rosaria Carpinelli consulenze Editoriali)

L'italiano può diventare "una grande lingua di cultura valorizzando il suo straordinario patrimonio che la rende la lingua del bello". A condizione che sia in grado di accogliere i cambiamenti che, nel tempo, ne modificano la struttura. A condizione, ancor meglio, che si superi l'idea "astrattamente atemporale, nostalgica e conservatrice della nostra lingua". A pensarla così è il linguista Giuseppe Antonelli, docente di Storia della lingua italiana all'Università di Cassino, fresco autore, per Mondadori, del saggio 'Comunque anche Leopardi diceva parolacce. L'italiano come non ve l'hanno mai raccontato'. Una necessità che si fa impellente anche in vista degli Stati generali della lingua italiana nel mondo che si svolgeranno a Firenze il 21 e 22 ottobre.

"Ciò che dobbiamo valorizzare - spiega Antonelli all'Adnkronos- è il patrimonio straordinario dell'italiano come lingua della cultura e del bello, come lingua delle arti e della letteratura. In generale, infatti, disponiamo di un patrimonio inattaccabile legato alla musica lirica e all'arte, soprattutto in relazione al Rinascimento".

Con un'avvertenza ben precisa, però: "Se vogliamo che l'italiano diventi una lingua con grandi capacità d'espansione -dice il linguista- non possiamo rimanere legati ad un'idea astrattamente atemporale, nostalgica e conservatrice della nostra lingua". Una tesi, questa, che in fondo attraversa tutto il saggio di Antonelli. E che il linguista riassume, con una certa dose di ironia, con l'espressione "un diamante è per sempre una norma grammaticale no".

Più nel dettaglio, specifica Antonelli, "solo le lingue morte non cambiano, solo le lingue morte non subiscono una trasformazione che deriva da quello che succede nel mondo esterno. E questo, tra l'altro, è una cosa che aveva capito benissimo anche Leopardi. Il titolo del mio saggio, è chiaro, vuole essere una battuta".

Ma, si potrebbe aggiungere, contiene anche degli elementi molto concreti. Basti pensare che, come ricorda Antonelli, "in diversi appunti dello Zibaldone Leopardi se la prende con i puristi perché impedivano alla lingua di crescere e di evolversi mettendola in una condizione di schiavitù". Una schiavitù che, al tempo di Leopardi, "era rispetto alla lingua francese che rappresentava una minaccia che, per alcuni, ora è costituita dall'inglese".

Per Antonelli, comunque, "l'italiano ha mostrato una grandissima capacità e dinamicità proprio in questi ultimi decenni: ha vinto in primo luogo la sfida con le nuove forme di oralità, il telefono, la radio, la televisione. E, negli anni più recenti, ha vinto anche la sfida con la scrittura digitale. Anche in questo caso l'italiano si è dimostrato una lingua plasmabile, elastica ed in grado di adeguarsi a quello che succede. Ha vinto - spiega meglio Antonelli- soprattutto perché, mantenendo la sua identità, è diventata una lingua popolare. Non dimentichiamoci che l'italiano nasce come un difetto d'origine e cioè quello di essere una lingua libresca e rimane a lungo una lingua soltanto per usi letterari ufficiali".

Quando invece "nel secondo dopoguerra, con il boom economico, abbiamo cominciato ad imparare la lingua e ad usarla in tutte le situazione, l'italiano è diventato un idioma popolare. Certe forme si sono affermate a dispetto di quelle che forse erano considerate più corrette dal punto di vista grammaticale".

Possiamo fare oggi lo stesso discorso - sottolinea il linguista- per l'italiano digitale. La vera novità non sta negli aspetti grafici, ma nel fatto che un'intera popolazione ha cominciato ad usare quotidianamente la lingua scritta. E ciò vale per i giovani e i meno giovani: tutti scriviamo migliaia di microtesti".

Nel prossimo futuro, prevede Antonelli, "ci sarà un italiano scritto tradizionale e un italiano scritto digitale. Ma questo è un bene perché si allarga la base delle persone che usano l'italiano. Ed è un bene, inoltre, perché la nostra lingua uscirà rafforzata". Se viene lasciata libera la lingua "ha gli anticorpi per adeguarsi ai cambiamenti", osserva Antonelli.

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