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Venezia, l'Italia di Ferrario chiama e quella di Salvatores risponde

02 settembre 2014 | 19.18
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Al Lido due ritratti della Penisola: 'La zuppa del demonio' e 'Italy in a day'. Salvatores: "C'è un'Italia sofferente e ferita ma con una dignità" /VIDEO. Ferrario: "E' il montaggio il segreto del cinema" /VIDEO

Venezia, l'Italia di Ferrario chiama e quella di Salvatores risponde

Magie dei festival, o meglio abilità di chi li dirige: la Mostra di Venezia ha offerto oggi la 'somma' di due, di diversissime, immagini dell'Italia che però si sommano, si rimandano l'una all'altra. Sono il film collettivo 'Italy in a day' (fuori concorso), curato da Gabriele Salvatores, frutto dei 44.197 filmati inviati in risposta all'invito agli italiani a realizzare un video in una specifica giornata, il 26 ottobre 2013, e il doc, anch'esso fuori concorso, 'La zuppa del demonio' di Davide Ferrario: l'Italia dello sviluppo industriale, anzi dell'idea di sviluppo industriale che ha attraversato il Novecento, interamente realizzata con materiali d'archivio.

Entrambi i film sono dunque di montaggio ed entrambi i registi, intervistati dall'Adnkronos, rivendicano il montaggio come fulcro dell'opera cinematografica. Ferrario racconta un Paese che credeva ingenuamente nello sviluppo industriale senza limiti, un Paese entusiasta. Salvatores offre un 'fermo immagine' dell'Italia di oggi, con molte speranze ma senza indulgenze, dove l'entusiasmo è la merce più rara ma dove comunque si guarda al futuro, non a caso il film è gremito di immagini di bambini.

"Tutto il materiale proviene dall'Archivio del Cinema d'Impresa di Ivrea che ha raccolto i 'fondi' che arrivavano dalle aziende, dalla Fiat, dall'Ansaldo, dalla Breda, ed è uno straordinario deposito di questi materiali. Il direttore, Sergio Toffeti, mi diceva da tempo 'prova a guardarli' e quando l'ho fatto ne sono stato colpito: c'era la testimonianza in presa diretta di quello che è stato il sogno, l'utopia del Novecento in Italia", racconta Ferrario, spiegando che il materiale, di fatto filmati aziendali propagandistici, è riuscito a 'piegarlo' ad una narrazione più oggettiva di quegli anni grazie al fatto che la sua idea di cinema "è basata sul montaggio molto più che sulle riprese, sulla sceneggiatura o su altre idee. Trovo che il montaggio è davvero il segreto del cinema, per cui lavorare con materiali già fatti piuttosto che girati per me non fa molta differenza: si tratta di rispettare la natura del materiale, non forzandolo a dire cose che non voleva dire, però con il montaggio lo metti in prospettiva e ti consente di vedere delle cose che allora non erano neanche immaginabili".

Per il suo film, il cui titolo definisce il rosseggiante crogiolo di un'acciaieria, Ferrario sceglie il termine ''struggente'' e spiega: "Non volevo fare dell'ironia, che sarebbe stata facile nel vedere come è stata devastata l'Italia dall'industrializzazione, mi ha più colpito, anche pensando alla mia gioventù, quando avevo 20 anni io, quel senso di sicurezza che ti dava la tecnologia, il progresso, lo sviluppo, cioè che il mondo sarebbe stato meglio perché c'era la tecnologia, l'industria, la produzione. Si andava nello Spazio!, negli anni Sessanta e Settanta e non era un problema di destra o di sinistra perché tutti volevano andarci e tutti volevano produrre".

"C'era l'idea che l'industria ci avrebbe aiutato, vista adesso questa caso è terrificante, però è anche facile dargli addosso a questa idea. Era molto più interessante per me, invece, ricostruire l'entusiasmo, provare a raccontare oggi come mai siamo arrivati qua. E' stato un grande passaggio, un grande progresso, ma il progresso ha avuto un prezzo", prosegue Ferrario.

Quando si chiede a Ferrario se in sostanza il protagonista del film sia l'entusiasmo, che oggi sembra mancare in Italia, risponde così: "Qualcuno ha detto e lo trovo molto brillante, che la nostra generazione è cresciuta avendo un'idea di sviluppo senza limiti e adesso ci sono solo i limiti senza lo sviluppo. La cosa più impressionante infatti, se mi guardo intorno adesso, e paragono quell'atmosfera a quella di oggi, è che allora davvero c'era una grande fiducia nel futuro, lottavi per un futuro che era da prendere, adesso quasi nessuno riesce a immaginarselo un futuro, è tutto concentrato nel difendere quel poco che hai nel presente".

Il presente, con lo sguardo rivolto al futuro, lo racconta Salvatores, che sorride ma poi difende, a ragione, il valore registico dell'opera, quando si esprime il dubbio che per 'Italy in a day' si possa parlare di regia in senso stretto: "Proprio per recuperare un po' di regia e di sguardo personale il tentativo che abbiamo fatto è di non accostare le immagini in maniera 'videoclippara' con musica e montaggio molto veloce, magari spettacolare, ma di stare il più possibile vicino alle storie di queste persone. Alcuni di questi personaggi, ad esempio, rientrano più volte nel film", ovvero l'astronauta italiano Luca Parmitano che guarda il mondo dall'altissimo della stazione orbitale, un ragazzo su una nave portacointanier che attraversa l'oceano, una ragazza che si rifugia dal mondo sotto il lenzuolo del suo letto e un cardiochirurgo italiano che lavora in Kurdistan.

"Uno nello spazio, uno isolato in mezzo all'oceano e una persona chiusa sotto le coperte, volendo questa è già regia ma è vero che alcune delle cose che ci sono in questo film non avrei mai potuto metterle in un film di finzione: o sarebbero venute male perché un certo tipo di verità non la raggiungi, neppure con il più bravo attore o il più bravo regista, oppure sarebbero risultate un po' finte, un po' ricattatorie. Invece in questa maniera ti puoi permettere anche delle cose che magari ti toccano ma, spero, senza scadere nella ricerca dell'emozione fine a se stessa".

Fra i tantissimi personaggi, o meglio le tantissime persone che scivolano sullo schermo, Salvatores predilige, per l'emozione che gli da, "il ragazzo sulla nave portacointainer che, nel film non c'è ma noi lo sapevamo, stava facendo lo stesso viaggio che avevano fatto i genitori quando cercavano lavoro in America. Anche lui stava andando li dicendo 'speriamo che ci sia un futuro'. Ecco questa persona che viaggia una specie di astronave, fra l'altro una nave commerciale che porta delle merci, mi ha colpito particolarmente".

Nascita, morte, solitudine, ribellione, allegria, amore ma anche tanta paura, del presente e del futuro in un film dal quale, riassume il regista, "esce l'immagine di una Italia con delle paure, sofferente e ferita ma con dignità: e questo mi ha abbastanza colpito. Le persone hanno comunque un senso di umanità, una voglia di andare avanti, che mi sono piaciute". Una risposta insomma all'interrogativo che Ferrario consegna implicitamente agli spettatori, se vi sia o meno ancora entusiasmo in questa Italia.

In 'La zuppa del demonio' il punto di partenza sono i filmati realizzati dai colossi industriali italiani con le migliori professionalità del settore, nelle immagini di base di 'Italy in a day' non c'è niente di professionale, vengono 'dal basso', da quelli che solitamente sono spettatori, eppure anche in questo l'Italia è cambiata. Se nel Novecento per esprimersi bisognava saper leggere e scrivere, adesso bisogna saper capire le immagini e saperle anche realizzare, altrimenti se ne resta vittime e Salvatores, da regista, certifica che su questa strada gli italiani sono molto migliorati, giudicando positivamente la qualità delle immagini con cui ha lavorato ma, sottolinea, "non basta avere una macchina fotografica per essere fotografi" né quindi una telecamera per essere registi perché, quasi le stesse parole di Ferrario, "la realtà non la racconti semplicemente registrandola. Il cinema è montaggio".

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