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Teatro: l'Eduardo senatore, dai temi sociali alla questione morale

29 ottobre 2014 | 15.30
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"...vorrei parlarvi ora di quel poco che ho già fatto nelle mie commedie, le quali, anche se non sono dei capolavori, anche se forse non mi sopravviveranno come hanno sostenuto e sostengono tuttora alcuni critici, hanno però il merito di aver sempre trattato i problemi della società in cui ho vissuto e vivo proponendoli dal palcoscenico all'attenzione delle autorità e del pubblico". Eduardo De Filippo riassumeva così la cifra dei suoi testi teatrali, nell'aula del Senato il 23 marzo del 1982, poco più di due anni prima della sua morte avvenuta il 31 ottobre del 1984.

In quell'occasione Eduardo, senatore a vita (venne nominato il 26 settembre del 1981), rivolse un'interpellanza all'allora ministro di Grazia e Giustizia Clelio Darida, sulla condizione dei giovani detenuti nell'Istituto "Filangieri" di Napoli; una interpellanza nella quale Eduardo parla anche di se stesso e del suo lavoro, rivendicandone in sostanza la valenza sociale, con un misto di umiltà e orgoglio: "Lasciando da parte i testi scritti durante il fascismo, quando le allusioni alle malefatte sociali e politiche erano, a dir poco, mal viste e quindi i granelli di satira bisognava nasconderli tra lazzi, risate e trovate comiche, a partire dal 1945 in poi non c'è stata commedia scritta da me che -afferma Eduardo- non abbia riflettuto aspetti della realtà sociale italiana".

L'autore sceglie poi l'esempio di "Napoli milionaria" dove, si legge nel verbale della seduta, "ho trattato vari problemi del nostro paese, molti dei quali ancora oggi irrisolti, primo fra tutti la questione morale, poiché solo su una base morale l'uomo attraverso i secoli ha edificato società e civiltà".

"Costretti a vivere nel vortice sfrenato del consumismo di oggi obbedendo a leggi vecchie e superate"

"Tenendo conto delle proprie necessità economiche e delle fonti di ricchezza dalle quali dipende il proprio benessere, l'uomo si è sempre creato regole di comportamento etico che ha dovuto poi proteggere con le leggi. È ovvio che queste norme col passare del tempo e con l'accrescersi delle conoscenze scientifiche dell'uomo diventano anacronistiche e vanno cambiate e assieme ad esse le leggi. Il guaio succede -sostiene Eduardo- quando si è costretti a vivere nel vortice sfrenato del consumismo di oggi obbedendo a leggi vecchie e superate".

"E in questo, a mio parere, consiste la presente ingovernabilità del nostro paese; insomma ogni santo giorno noi italiani ci troviamo di fronte al solito nostro tempo o fuori delle nostre leggi", prosegue il senatore a vita, tornando poi a "Napoli milionaria" e "alle questioni che con quella commedia ponevo sul tappeto e che sul tappeto sono rimaste. Nel 1945, finito il fascismo, finita la guerra si doveva iniziare la ricostruzione del nostro paese mezzo distrutto e messo in ginocchio dalla sconfitta. Dice Gennaro Iovine, il protagonista della commedia: 'la guerra non è finita, non è finito niente' e al finale 'adda passà a' nuttata'".

"Attraverso queste semplici parole, semplici ma niente affatto sciocche, il reduce voleva significare -spiega Eduardo- che c'era ancora da combattere nemici potenti e agguerriti quali il disordine, la borsa nera, la corruzione, la prepotenza, la disonestà, se si pensava di costruire tutti insieme, Governo e popolo, una società nuova, giusta dove il potere svolgesse le sue funzioni. Avevamo perduto la guerra e sentivamo che ci sarebbe stato bisogno di sacrifici per conquistare la libertà e il benessere sociale".

"Necessario responsabilizzare gli individui"

"In quel periodo, subito dopo la Liberazione, il popolo era pronto a farli i sacrifici -sottolinea Eduardo- ci si sentiva come affratellati dalla speranza che valeva bene qualche privazione per essere pure noi artefici della nostra vita e di quella dei nostri figli. Ma ecco invece che cominciano ad arrivare gli aiuti e non in maniera morale, normale, accettabile e benefica, bensì in quantità esagerata che ha falsato tutto lo sviluppo delle nostre sacrosante aspirazioni".

"Insomma siamo entrati nella storia del dopoguerra come protagonisti non paganti -si rammarica Eduardo- come entrano in teatro i portoghesi, che lo spettacolo se lo godono meno di tutti perché non hanno pagato il biglietto. Così noi, non avendo pagato, non abbiamo avuto la soddisfazione di chi si conquista il benessere col proprio lavoro sentendosi soddisfatto di avere collaborato con il Governo. Quale è stata la conseguenza? La spaccatura che si è prodotta tra il popolo e la classe dirigente".

"Mi sembra che in questa 'Napoli milionaria' siano stati profeticamente indicati problemi importanti, da prendere in considerazione ancora oggi: il rapporto cittadino-Stato; la necessità di responsabilizzare l'individuo facendolo partecipare attivamente alla ricostruzione della società, che poi di individui è fatta", dice ancora Eduardo De Filippo, prima di tornare alla materia della sua interpellanza al termine della quale, si legge nel verbale della seduta, ebbe "applausi dall'estrema sinistra, dalla sinistra, dal centro-sinistra e dal centro". Le parole di Eduardo torneranno a risuonare nell'aula del Senato dopodomani, a 30 anni dalla sua scomparsa, con una celebrazione che sarà aperta dal presidente Pietro Grasso. A ricordare Eduardo sarà, fra gli altri, il figlio Luca De Filippo che leggerà proprio alcuni passaggi dell'intervento fatto nel 1982 dal padre.

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