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A Formia

Teatro: 'Caffè & Sigarette… please', dove pazienti psichiatrici diventano attori

09 luglio 2016 | 11.34
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(La locandina dello spettacolo)
(La locandina dello spettacolo)

Se per una volta i ruoli si invertissero e fossero i pazienti di un istituto psichiatrico a giudicare il ‘mondo esterno’? Accade sul palco di ‘Caffè & Sigarette… please’, diretto da Alessandro Capone e scritto insieme a Luca D'Alisera, che andrà in scena domenica 17 luglio alle 21 presso l’Anfiteatro Romano di Formia. Uno spettacolo, che è allo stesso tempo un esperimento destinato in prima istanza agli ospiti dell’I.C.O. Salus di Formia ma con l’intento di poter poi essere adottato e replicato anche da altri istituti psichiatrici.

“L’idea è nata parlando con alcuni amici psichiatri e con il primario di questa clinica – ha detto all’Adnkronos Alessandro Capone, regista di numerose serie tv e film - In questi istituti ci sono in genere attività come la musicoterapia o il teatro, ma si parte sempre da testi conosciuti. Io invece ho scritto questo spettacolo immaginando che questi pazienti si sveglino una mattina e si trovino nella possibilità di ‘gestire’ le proprie vite, mettendo in discussione il sistema”.

Già nel ‘L'Amore Nascosto’, film del 2007 con Isabelle Huppert, Capone aveva affrontato il tema della psichiatria, tanto da essere presentato tra gli altri al Festival dell'Arte e della Scienza di Bordeaux. “Abbiamo immaginato un vero e proprio tribunale, in cui ci sono giudici e avvocati”, sottolinea il regista romano aggiungendo: “I tre attori professionisti che ho coinvolto (Roberto D’Alessandro, Giampiero Mancini, Massimiliano Vado, ndr) alla fine hanno un ruolo marginale, perché i protagonisti veri del mio spettacolo sono i pazienti. Erano partiti in 25, ora sono in 13, tra i 35 e i 55-60 anni, sia uomini che donne”.

In ‘Caffè e Sigarette… Please!’ gli attori-pazienti istruiscono un processo, anomalo e surreale, rovesciato, in cui sono loro, parte lesa, a rivendicare i loro diritti e a mettere sotto accusa le loro famiglie, colpevoli di averli abbandonati e rimossi dal proprio universo affettivo e relazionale. Eccoli quindi assumere i ruoli di giudici, avvocati, giurati, testimoni, e dare inizio a un’analisi sincera dove per la prima volta possono esprimersi con quella libertà che avevano perduto, e stavolta essere loro a ‘giudicare’ noi.

“Sul palco c’è una magia incredibile. E poi le nuove dinamiche che si sono create tra gli ospiti della struttura e i loro cambiamenti in questi 6 mesi di lavoro – racconta Capone - c’è chi ha cominciato a parlare e chi ha smesso di tremare. E sono scattate dinamiche di autoanalisi quando hanno preso coscienza del fatto che stanno parlando di loro”. “La nostra idea, oltre a quella di fare un documentario su questi mesi di lavoro, è quella di creare un format spendibile in altri istituti – dice ancora il regista 60enne - Ma sto pensando anche a una fiction televisiva”.

“Perché questo è un argomento su cui c’è un rifiuto generale – sottolinea Capone - Di un parente malato di tumore se ne parla, ma quando in casa c’è una persona con disturbi mentali non sempre viene fatto sapere. Portarlo a galla è invece, anche nel rapporto tra pazienti e parenti, è una bella pentola da scoperchiare. E’ un argomento che mi interessa molto”. “Ora sono solo curioso di vedere come sarà la loro reazione quando saranno sul palco, sotto le luci e con un pubblico davanti”, conclude il regista.

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