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All'Opera di Roma trionfa 'La damnation de Faust' firmata Gatti e Michieletto

13 dicembre 2017 | 12.38
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(Foto di Yasuko Kageyama)
(Foto di Yasuko Kageyama)

di Pippo Orlando

Accoglienza trionfale per 'La damnation de Faust' di Hector Berlioz, che ieri sera ha inaugurato la stagione 2017-2018 del Teatro dell'Opera di Roma (Foto). Un titolo piuttosto desueto che mancava da oltre sessant'anni dal palcoscenico romano e che, grazie a una scelta coraggiosa del sovrintendente Carlo Fuortes e del direttore d'orchestra Daniele Gatti, è tornato al Costanzi in una nuova produzione firmata dalla giovane superstar della regia, Damiano Michieletto, in coproduzione con il Teatro Regio di Torino e il Palau de Les Arts Reina Sofia di Valencia.

Titolo accolto da qualche buu rivolto al regista, coperto però dai tripudi e dalle ovazioni del pubblico in sala, un parterre d'eccezione dove spiccava per eleganza la sindaca e presidente della Fondazione lirica capitolina, Virginia Raggi, che indossava un abito Gattinoni Couture disegnato da Guillermo Mariotto, direttore creativo della maison.

Raggi e Fuortes hanno accolto i numerosi ospiti della serata, tra i quali i ministri Franceschini, Padoan e De Vincenti, la sottosegretaria Maria Elena Boschi e l'ambasciatore francese Christian Masset. Poi la sindaca, accompagnata dagli assessori capitolini Bergamo e Frongia, si è seduta come sua abitudine in platea, dove erano presenti ospiti illustri come l'assessore regionale alla Cultura, Lidia Ravera, diversi sovrintendenti di teatri italiani e stranieri, i giornalisti Augias e Ferrara, gli scrittori Giancarlo De Cataldo e Baricco, i registi Cotroneo, Livermore e Martone, il compositore Battistelli e tanti altri.

Quanto allo spettacolo, Michieletto dà una lettura unitaria e cinematografica di un titolo come 'La damnation de Faust', nato per le sale da concerto e non per la scena e quindi drammaturgicamente debole. Berlioz, infatti, lo definì "lègende dramatique" e la partitura non fu mai eseguita in forma scenica fino al 1893, 24 anni dopo la morte del compositore. Il regista veneziano raggruppa i numeri isolati che si susseguono nella partitura, in una specie di storia in 15 episodi, come una miniserie, ciascuna con un proprio titolo, dando però all'insieme un'unità narrativa straordinaria, in questo coadiuvato in buca dalla bacchetta precisa di Gatti.

Faust, qui interpretato dal bravo tenore ceco Pavel Cernoch, non è l'intellettuale che sigla il patto col diavolo per appagare la sua avidità di sapere, come in Goethe o Marlowe. Michieletto lo legge come un giovane d'oggi annoiato e depresso, incapace di affrontare la vita, vittima del bullismo da parte dei suoi compagni di scuola (scena che si svolge nella prima parte dell'opera, durante la celebre 'marcia ungherese', accolta da diversi 'buu in sala), salvato in extremis dal suicidio grazie a un canto pasquale di chiesa. In questo sottolineando la differenza tra il testo di Goethe e quello di Berlioz (autore anche del libretto), che vuole tornare alla fonte originaria della leggenda di Faust (ecco perché la definizione "lègende dramatique"), per darne una versione sua.

Protagonista è Mefistofele, in doppiopetto bianco, che si muove in scena accompagnato da operatori con la steadycam che riprendono ogni momento della vita di Faust e Margherita (ben interpretata dal mezzosoprano Veronica Simeoni), proiettandoli su uno schermo, come se la realtà avesse senso solo in una dimensione multimediale.

Così Mefistofele, interpretato da un carismatico e bravissimo Alex Esposito, diventa personaggio da social, balla e si muove come Gianluca Vacchi, e irretisce Faust e Margherita promettendo loro un paradiso cui Michieletto, grazie alle scene di Paolo Fantin, dà le sembianze del 'Giardino dell'Eden' di Lucas Cranach il vecchio. Lì si svolge il primo incontro tra i due. Tutto però precipita, per via dei magheggi di Mefistofele, verso lo spettacolare galop che conduce Faust all'inferno, dopo che il giovane ha suggellato il patto diabolico per salvare Margherita, fino al terrificante 'Pandaemonium' e al finale con l'Apoteosi di Margherita.

Una serie di numeri musicali di grande virtuosismo tecnico, affrontati con mano sicura da Gatti che ha sottolineato la scrittura sinfonica molto complessa della partitura, ricca di pagine potenti come la 'marcia ungherese', la scena della taverna di Auerbach, le danze di folletti, le canzoni del ratto e della pulce con la parodistica fuga sull'Amen, la beffarda aria di Mefistofele, il Pandaemonium e le grandi parti del coro, forse vero protagonista dell'opera. In questo il maestro milanese è stato assecondato dagli organici della fondazione lirica romana, quello di adulti e quello della Scuola di Canto Corale, entrambi perfettamente preparati da Roberto Gabbiani.

Nel finale, dopo un effetto teatrale da brivido (anche per la difficoltà di realizzazione), interminabili applausi hanno accolto i protagonisti, soffocando i pochi buu rivolti al regista. Un'apertura di stagione nel segno del coraggio con un titolo desueto e una regia innovativa, premiata anche da un pubblico tradizionale come quello dell'Opera di Roma.

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