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Lirica: quando Violetta diventa Anitona, 'La traviata' a Caracalla

04 luglio 2018 | 18.53
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(foto Yasuko Kageyama)
(foto Yasuko Kageyama)

di Pippo Orlando

Flash di paparazzi che la accolgono davanti al cartellone che annuncia la sua ultima fatica cinematografica, prima della festa tra le scintillanti luci di Via Veneto. No, non è Anita Ekberg nella 'Dolce vita' di Federico Fellini, ma Violetta nella 'Traviata' andata in scena ieri sera alle Terme di Caracalla per la stagione estiva del Teatro dell'Opera di Roma. Il regista Lorenzo Mariani, coadiuvato dalle scenografie di Alessandro Camera e dai costumi di Silvia Aymonino, ha spostato l'azione del capolavoro di Verdi dalla Parigi di metà '800 alla Roma felliniana. Come ricorda anche Alberto Mattioli nel suo libro 'Meno grigi più Verdi', Fellini e il compositore di Busseto sono stati tra i pochi a raccontare perfettamente gli italiani, con tutti i loro vizi e virtù, e Mariani evidentemente lo ha voluto sottolineare.

Ci si ritrova così nel primo atto sul set de 'La dolce vita', con qualche richiamo ad altre pellicole di quegli anni come 'Vacanze romane' (le scoppiettanti lambrette), mentre il secondo atto 'cita' ancora il Fellini di 'Giulietta degli spiriti', con l'altalena in cui si dondola mollemente Flora, e de 'La città delle donne' col suo scivolo di velluto rosso.

Violetta è una diva del cinema perennemente inseguita dai paparazzi (che la sommergono di flash perfino quando muore) con la sua ascesa e il suo inevitabile declino, reso tangibile nel terzo atto dalla catasta di manifesti cinematografici logori che ricordano quelli di Mimmo Rotella. E anche l'impalcatura dello schermo cinematografico che fa da cornice ai primi due atti, nel terzo è spezzata e ha il sapore amaro di una vecchia sala ormai abbandonata al degrado. "Lo spazio - dice il regista nell'intervista sul programma di sala - accoglie rovine, macerie e testimonianze della distruzione di una vita andata in pezzi".

Il parallelo tra la borghesia ipocrita e spietata della Parigi ottocentesca, che poi era anche quella italiana (volendo ricordare il caso di Verdi stesso con Giuseppina Strepponi), e i meccanismi del cinema, che col suo "fasto e glamour" è "un sistema che stritola", è quello su cui punta Mariani. Violetta diva della Hollywood sul Tevere, protagonista della mondanità, volto da prima pagina delle riviste patinate, ieri sera aveva la voce e il temperamento del soprano russo Kristina Mkhitaryan, mentre Alfredo era il tenore Alessandro Scotto di Luzio, non proprio a suo agio soprattutto nel registro acuto, tanto da eseguire la cabaletta del secondo atto ('O mio rimorso! O infamia!') senza il tradizionale do di petto finale.

Il baritono argentino Fabian Veloz era Germont, sostanzialmente corretto, mentre Roberto Accurso era il barone Douphol e Irida Dragoti, Flora. Le coreografie, con tanto di coppiette che ballano rock'n'roll, sono di Luciano Cannito. Sul podio Yves Abel che ha scandito, con tempi lenti e non certo brillanti come le luci del set, il capolavoro di Verdi. A parte un isolato 'Vergogna' e qualche 'buu' al regista, sono stati lunghi gli applausi del numeroso pubblico.

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